giovedì 3 gennaio 2013

Mirò ? Ma no!

Per colorare un po' le feste di Natale, ho scelto Mirò, perché la festa non fosse soltanto colesterolo e delusioni impacchettate. Spesso il Natale è il Sabato del villaggio, si esaurisce nei lustrini, eppure lo si prepara con fervore.Quest'anno l'ho ospitato con allegria, perché penso da pessimista, ma vivo da ottimista, alla fin fine, persino da temeraria, nel coltivare ciuffi d'ananas di speranza, pensando che ne crescano palme da dattero...sfumato però lo spirito natalizio e terminata la mostarda,ho pensato che un po' di colore potesse starci bene. Scegliendo l'arte. Il colore che mi s'addice è paesaggio o arte visiva,se non è quello più prosaico d'un vestito o un accessorio. Non amo grida né canti.Non seguo il ballo né il carosello di genti. Credo che la vita sia più elegante se dentro un salottino, in cui in fondo si possa star bene in due. Il resto è sfondo e corollario. Se non c'è il due, preferisco l'uno ai molti. Il Pari, il Dispari. Il resto è in esubero. Dunque prendo il mio dispari e lo porto in treno, ché è il mezzo che amo per eccellenza, in una giornata soleggiata. Il paesaggio tuttavia è brullo, risente della sofferenza del suo inverno ben insediato sul suo trono di spine. Mi siedo accanto a un bassotto, piccolo, Tristano. Il miglior compagno di viaggio, la fiducia serena dei cucciolotti tutto sonno. Nulla di più adorabile.
Scendo a Genova, scelgo Via San Vincenzo, percorso parallelo a Via XX Settembre e forse più...ligure.


Arrivo in ogni caso in Piazza De Ferrari, la bella Piazza De Ferrari, dove un albero di Natale mi conferma la data. Lo scorso  anno ero qui, il 2 gennaio, ma era circa mille anni fa.Forse Piazza Corvetto l'ha inghiottita il vuoto.
Passin passetto, faccio "Mente locale" ( sito e luogo reale) e consumo un minipasto di caffè e brioche, in giro sono parca, dopo aver fatto il biglietto.
Ho un'audioguida favolosa. E' anche videoguida. Offre approfondimenti, ragguagli, informazioni ausiliarie e aggiuntive. Eccellente supporto.Non c'è che da salire pazientemente lo scalone ed arrivare da un atrio che annuncia l'evento ai fasti veri e propri di Palazzo Ducale, è un giorno feriale, c'è persino poca gente...




Salendo, un omaggio a Tabucchi...




Tant'è che sorrido.


Giro e m'aggiro tra le sale. Alcune opere sono decisamente famose. Grandi. 
Altre sono fotografie che mostrano dove le opere sono collocate: alberghi, ristoranti, palazzi noti e altri luoghi pubblici e privati, in spazi di grandi dimensioni. 
Nelle sale c'è anche la ricostruzione dello studio di Mirò.

Un filmato mette a contatto il visitatore con  l'autore, sembra di poter colloquiare. Mostra organizzata in modo magistrale, ma che dire di quell'anziano che gioca a impiastricciarsi le mani di colore  per dar luogo a soggetti che alla fin fine sono donne o uccelli? Linee essenziali, ideogrammi. Scaglie di Giappone e/o di emozione primitiva. L'autore afferma di vivere nella pittura la sua terra, Maiorca, e anche di voler assassinare la pittura. Be', c'è riuscito. Il suo segno non è un disegno, il suo colore è spremuto dai tubetti. Primari: giallo, rosso, blu. Nero, tanto nero. L'eleganza del segno è sopraffina. La comunicazione a livello empatico si stabilisce, ma resta il fatto che quella non è pittura. E' la bella grafica di un decoratore d'interni. Non sento pathos, non vedo tecnica del disegno e del colore ma il suo ribelle rifiuto, forse dettato da incapacità di aderire alle regole imposte dall'apprendimento di una tecnica stessa.Non è pittura ma è arte, non c'è dubbio, dove c'è emozione c'è comunicazione artistica e Mirò va sul sicuro, suscita reazioni epidermiche e profonde.Il gioco che riuscì a Mirò l'hanno poi ripetuto in tanti, inclusi coloro i quali si credono moderni, cercando di imitare ciò che lui fece quasi un secolo fa.

Non ho riscontrato tuttavia alcun elemento poetico, non ho toccato con mano la sofferenza creativa di chi ha tolto dal pennello, ricreandola, la realtà. 
Se per Renoir ho provato ammirazione per l'abilità pittorica, pur senza sentire dentro me suonare le corde della malinconia che spiega e si spiega...davanti a Mirò mi sono sentita come una cliente che apprezza l'arredamento di un Caffè.
Non sono in cerca di sensazioni. Mirò non amoreggia con la natura né l'odia.Non vezzeggia la tecnica, la riduce a puro segno e accostamenti forti.


Uscendo, m'infilo in Via Galata e qui mi perdo in una Genova dalle vetrine scintillanti e compro il dolce per il mio paradigmatico Capodanno simile  esattamente a un Mirò, senza alcuna poesia.
Strada facendo fotografo persino una tripperia. Un angolo di passato che in provincia non c'è più.La provincia sopravvive ad angolo acuto soltanto nelle grandi città dove più ci si espande, più si rivendica il diritto di agonizzare lentamente.
E ho un bel dire che Genova non è abbastanza pulita... ed è poco moderna. Io a Genova, nel centro, sto bene come un topo nel formaggio.Di Genova ho foto bellissime, mie e non solo.Foto di quando pensi che la vita sia una luna di miele basta volerlo, di un amore decappottabile, che necessita di due, non più di due. 
Ma la folla inghiotte, questo è un mondo che non ama né Dispari né Pari. 
Ama la tribù.
E nella tribù non c'è posto per me.
Da quando ho visto Van Gogh temo di non riuscire più ad amare alcun pittore, ma la realtà gli è rimbalzata dentro fino ad ucciderlo. Forse ha fatto bene Mirò a diventare un decoratore di lusso per architetti bizzarri di clienti danarosi.
Resta il fatto che non l'amavo prima di partire, ma ho voluto provare, e non l'amo neppure ora.
L'ho presto smaltito sulle scale mobili di Coin.


















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