"Memorie di nebbia selvatica" è del 2009, il vecchio blog ne riportava alcuni racconti, li riproporrò qui, per gli amici nuovi ( e i vecchi che non li ricordano)
In barchetta sul Tanaro.
Un tempo si navigava sul Tanaro e si consumavano
merende sulle sue sponde o direttamente in barca ed i ragazzi nuotavano nelle
acque fluviali ed il fiume risucchiava qualche giovane vita di tanto in tanto.
L’annegamento
di un coetaneo non scoraggiava la masnada di “ragazzacci” che continuava a
bagnarsi in mutande o a rovesciar barconi, in armonia col Tanaro, strano Dio a
cui qualche sacrificio bisognava offrire.
Le famiglie erano numerose, la
miseria s’annegava all’osteria, ma la gita in barca, con la scusa della pesca,
era una valida alternativa, per i maschi adulti di casa, al rosario di
bicchierini consumato nella piola ( osteria).
Cescu aveva una bella barca, la
sua passione, ridipinta d’azzurro ogni primavera, ben difesa dai ragazzetti da
robusti teli d’incerata. In barca Cescu pescava con ridicole canne, che
destavano l’ilarità dei veri pescatori, ma soprattutto gustava rosette e salame
crudo macinato grosso e annaffiato d’un barbera a volte lasciato cullare in un
secchio dalle acque fresche del fiume.
Cescu aveva acquistato
un’abbronzatura intensa, che oggi sarebbe assai ricercata, se non fosse per lo
stampo della canottiera, che non toglieva. Un fisico maschile, temprato dal
fiume e dal sole acquisiva una virilità apprezzata, perlomeno d’aspetto.
Cescu aveva pochi ma cari amici,
con i quali a volte condivideva la fuga pacifica sul Tanaro, sulle acque del
quale preferiva tuttavia andar da solo, lontano dal vociare dei figli nelle due
stanze di casa. Alla domenica Cescu in barca andava con moglie e qualcuno dei
marmocchi, a disagio nei vestiti della festa, costretto a rinunciare al
cappellaccio comodo e bisunto per portare il Borsalino leggero, per non
sfigurare con la moglie, in fresca cotonina fiorita. La Luisa, infatti, sfoggiava
vestine vezzose, ma castigate e portava avvolto attorno al capo il
“fazzolettone da barca” stampato a grossi papaveri : unico accessorio vivace
d’un abbigliamento semplice e tristanzuolo.
Cescu in barca preferiva andar da
solo, per cantarsi a squarciagola la “Turandot” o la “Cavalleria rusticana”,
esecuzioni rese brillanti a mano a mano che il livello di barbera nella
bottiglia scendeva.
Tra i pochi amici fidati c’era
Teresio, il calzolaio, appena tornato dalla Germania col gruzzoletto da
emigrante, a dire il vero già consumato, coi tre figli da crescere.
Teresio era fisicamente piuttosto
imponente e di carattere forte, come tanti alessandrini d’allora, anche se non
portava, come usava, coltello a serramanico, per il timore un giorno di
adoperarlo in modo avventato. Un placido gigante a volte un po’ ombroso, che
suscitava una certa ammirazione femminile, compresa quella della Luisa.
Accadde una domenica che Cescu e
Teresio se ne andarono in gita in barca, eccezionalmente senza famiglia. Quanto
era abbronzato Cescu, tanto niveo era Teresio, non abituato al sole ed alla
barca, che non possedeva. Anche Teresio aveva una bella voce tenorile e
soprattutto amava il barbera. Sole e vino e Teresio cominciò a soffrire il
caldo. I raggi cocenti arrossavano la pelle delle sue bianche gambe, denudate
per rinfrescarle in Tanaro e Teresio le coprì con la candida camicia della
domenica. Cescu portava il cappellaccio di sghimbescio, ma Teresio era a testa
scoperta e la luce solare cominciava a far sentire la sua violenza sui capelli
biondastri, il viso roseo e gli occhi chiari e in barca non trovò niente di
meglio del fazzolettone di Luisa. Così ben bardato, Teresio continuò a godersi
il fiume, il salame, il barbera e la compagnia di Cescu. Insieme intonarono una
romanza ed erano solisti e coro contemporaneamente.
La Luisa inviperita correva su e
giù imprecando sulle rive ad Tani , nera col Cescu, maledetto orso, solitario
anche di domenica, dimentico dei figlioli e della moglie in cotonina.
Teresio, non ritenendo sufficiente
la copertura di cotone aveva aperto in barca un vecchio ombrello sbrindellato
che usava in caso di pioggerella, non ritenuta un ostacolo per le uscite in
barca.
Così protetto e surriscaldato dal
barbera, Teresio intonò col Cescu un duetto con tanto di voci in falsetto, per
un’insolita quanto improbabile “Bohème”.
Intanto la barca sfilava sotto
agli occhi di Luisa, in alto sulla riva, che già indispettita riconobbe Cescu e
scafo, ma scambiò Teresio per una donna, con gonna chiara ed il suo
fazzolettone in testa, la svergognata! Cescu era allegro e vispo come un
galletto e cantava con la donnaccia come mai aveva fatto con Luisa. Se l’era
scelta tonda e grossa, con le tettone ben protette dal sole, il porco! Luisa,
segaligna e piatta, nutriva una certa acredine per le signorine “Grandi firme”
allora in voga e Cescu ne aveva una in barca, raccattata chissà dove e chissà
quando.
-Putana! Disgrasià d’in Chichen!-
urlò Luisa a pieni polmoni, poi fece ritorno, imbufalita al cortile, dove figli
e vicine l’aspettavano. A casa, Luisa recitò per tutti una memorabile scena
d’afflizione di moglie ferita e tradita, per di più di domenica.
Cescu, dal canto suo, non s’era
accorto di nulla, intento a godersi fiume, sole, barca e lirica, condividendo
con Teresio buonumore e barbera.
Inutile raccontare come Cescu fu
accolto, a sera, al suo ritorno a casa e come invano cercò di convincere Luisa
che la porcona in barca altri non era che il Teresio. Luisa accolse la
spiegazione come un ulteriore affronto, conosceva bene Teresio, bell’uomo
piacente e virile , che certo non poteva essere confuso con una donna.
Per salvare una famiglia e un
matrimonio, Teresio fu costretto a sfilare con camicia annodata in vita e
fazzolettone in testa per Spalto Borgoglio, cantando in falsetto “ …mi chiamano
Mimì”. Luisa si convinse che la versione dei fatti fosse veritiera, ma il Cescu
fu costretto ad andare in barca soltanto alla domenica, sempre di domenica e
mai più con il barbera.
Cescu ubbidì, ma non riverniciò
più la barca e spesso si dimenticò di coprirla col telone ed i ragazzetti a
volte la spingevano in acqua, per usarla come piattaforma per i tuffi in
Tanaro.
Da vecchio, Cescu, i cui figli
erano diventati piccolo-borghesi benestanti, veniva portato al mare in Liguria.
Gli era stata regalata una barca nuova, tenuta in quel di Camogli. A volte Giovanni, il figlio primogenito, la
spingeva in mare, incoraggiando il padre ad una gita, ma il mare l’era nenta
Tani e il diabete vietava il
barbera. Cescu non tradì Tanaro per il mare ( ci andava “con quella faccia un
po’ così"…alla Conte), così come non aveva mai tradito Luisa, che del resto era
morta da qualche anno.
E Teresio ? Ricordò tutta la vita
il curioso incidente e per anni lo raccontò agli amici di sezione del PCI, dai
quali sperava, alla sua morte, un funerale civile, con la banda in testa ed il
feretro coperto di fiori rossi.
Morì senza compagni al funerale,
anche perché fu celebrato in duomo, perché i nipoti si vergognavano di un nonno
ateo ed i comunisti di quei tempi si vergognavano di togliersi il cappello in
chiesa, poiché Don Camillo non sorrideva ancora a grandi denti a Peppone e non
era ancora nato il Partito Democratico.
In memoria di Cescu e Teresio non
fiori, ma bottiglie di barbera ed un pensiero alle acque del Tanaro che scorre,
come il fluire del tempo su splendori e tenere miserie alessandrine e forse
canta, con un linguaggio d’acque che soltanto chi è impastato di nebbia e fango
di questa nostra Lisondria può comprendere : “ mi chiamano Mimì, ma il mio nome
è…Teresio".
Teresio era mio nonno materno e
non faccio parte del ramo bigotto dei nipoti, ma a quei tempi ( mi riferisco al
funerale e non alla vicenda narrata) avevo sei anni. Mi sarebbe piaciuta la
banda tuttavia, era solenne e struggente, anche se forse e sottolineo forse…un
po’ stonata e chiassosa, ma la benedizione d’un Dio forse è la speranza del
profondo del cuore anche di noi agnostici, dolenti di non credere come i puri
di cuore e forse sarebbe stato meglio abbinare le celebrazioni funebri e che
una banda avesse accompagnato il feretro davanti ad un Dio anche minore,
passando, ovviamente, da un’osteria strada facendo.
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