sabato 12 maggio 2012

Il Creatore e Pinocchio

Pinocchio è un trattato morale, illustra i passaggi della vita, per trasformarsi da vivaci burattini a persone consapevoli e in grado di discernere, ma a proprie spese, chi ci vuol male e chi ci vuol bene, ma lo fa con senso dell'umorismo, che non è per nulla bonario. In Pinocchio s'incrocia la morte più volte. Mi fu regalato a sette/otto anni. Ricordo che cosa mi avvinse, invitandomi a proseguire la lettura: Geppetto sceglieva il nome per il figliolo che sarebbe stato il bastone della sua vecchiaia perché era "un nome fortunato", in quanto conosceva un'intera famiglia di Pinocchi e ognuno chiedeva la carità. Fu il primo sorriso che un libro mi strappò ( la narrativa per l'infanzia dei miei tempi era cupa e malinconica, melensa e strappalacrime, terrorista e punitiva, così come dalla metà degli Anni Sessanta iniziò a essere edulcorata e buonista, inverosimile...). Che significa? Nulla.La fortuna non esiste, per Collodi. Così come chi fa un figlio s'augura il meglio, in realtà non sa nulla di ciò che la vita sarà. Rischia.Di suo e in fondo è consapevole del rischio, allora tanto vale partire dal presupposto di essere un Pinocchio qualsiasi. Il mito del Creatore è fasullo.Pinocchio non invera sogni di gloria, non è costruito ad immagine e somiglianza. Il Demiurgo è un povero vecchio che si sente solo. Impareggiabile il litigio tra Geppetto e Mastro Ciliegia, s'insultano, si picchiano, fanno la pace, ripromettono l'amicizia l'uno all'altro...e ricominciano.Un'allegoria dei popoli, rissosi e incapaci di lealtà né di costanza negli intenti.

Ciò che i due riceveranno da questa nuova creatura son solo sberleffi. Si prenderà gioco della loro commovente povertà, dei loro sentimentalismi, del loro aspetto. Si sentirà forte delle sue gambe nuove, veloci e resistenti e scapperà via. La gioventù non vuole restare imbrigliata nelle maglie dei vecchi, ancora non sa che sono i "suoi" e il resto è un'incognita.


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