sabato 31 marzo 2012
venerdì 30 marzo 2012
Ottima e abbondante
Un personaggio di Rodari,Giovannino, si toccava per vedere se c'era tutto e non aveva perso pezzi per strada.Era tutto contento se poteva verificare la sua integrità. Sì, ci sono tutta, ottima e abbondante. Può bastare.
Merda
Non sbattetevi, ragazze, per essere carine, brillanti, assennate,capaci sul lavoro e/o in casa o al contrario sexy, disponibili, divertenti. Agli uomini piace soltanto una caratteristica: che siate loro inferiori, tranne a due categorie maschili, coloro i quali siano talmente sicuri di sé da non temere nulla e quelli che vogliano sfruttare le vostre capacità. Gli altri s'accontentano che, almeno in qualcosa, rispetto a loro siate una merda.
giovedì 29 marzo 2012
domenica 25 marzo 2012
Sostiene Pereira
Un personaggio che ci sovviene con l'immagine di un Mastroianni, oramai maturo, sul quale molta vita era scivolata addosso, che si muoveva con i modi impacciati dell'uomo mesto, che ha un dialogo folle e nel contempo tenero con l'unica donna della sua vita, una moglie morta, ma che la vita trascina nel coraggio che mai avrebbe pensato di avere, a dimostrazione che finché sei vivo, il cuore ha bisogno di ostacoli da superare.
"Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell'imbarazzo di metter su la pagina culturale, perché il "Lisboa" aveva ormai una pagina culturale, e l'avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d'estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo".
L'incipit.
L'uomo, Tabucchi, che non c'è più:
L'attore, che lo ha preceduto:
E di Tabucchi voglio ricordare anche la presa di posizione, lui, progressista vero, contro Cesare Battisti e l'intellettualume che l'appoggia.Quando Battisti fu accolto trionfalmente in Brasile e lì protetto dalle autorità, Tabucchi rifiutò di intervenire al festival letterario di Paraty per protesta contro il governo di Brasilia.E fece bene.
venerdì 23 marzo 2012
mercoledì 21 marzo 2012
Virginicchia - ultima parte
e così termina:
Così
dicendo, l'anima sua accarezzò un cuore tricolore, fatto di foglie e petali di
rose rosse e bianche. Un cuscino vegetale intrecciato ogni dì della vita eterna
ed ogni notte disciolto, distrutto, sfatto. Ogni giorno. Italia mai goduta, un
cuore perduto. Ai polsi indossava bracciali di campanule e violette e aveva
accanto l'immagine rarefatta ed eterea dei suoi cani.
-
Virginia, posso sederle
accanto?
-
Chi siete?
-
Arthur, per servirvi ed
onorarvi...
-
Fatevi guardare, siete
bello! Siete italiano?
-
Il mio nome non vi
suonerebbe famigliare, mia bella.
-
Mi pare di riconoscere i
vostri lineamenti...
-
Sono come ho scelto di
essere per l'eternità. Trentenne..
-
Anch'io. Il vostro
volto, i vostri occhi, il naso. Li ho più volte visti, ma nel mentre li fisso,
si perdono in altri lineamenti amati...
-
Sono un ritratto,uno
specchio, un po' di mia madre, un po' di mio padre...
-
E siete nobile?
-
Sono un dentista,
pratico di nobili, ma borghese, anche se in vita ho collezionato cimeli storici, intorno alla nobiltà
francese...
-
Napoleonici?
-
Sì,tutti tali, donati
alla mia morte alla Malmaison.
-
Il vostro viso, i vostri
occhi...
-
Li avete più volte
incontrati, Madame.
-
E dove siete vissuto? E
morto?
-
A Parigi, sempre a
Parigi. 90 anni a Parigi, ma vissi protetto breve tempo in Inghilterra, dopo il
disastro di Sedan.
-
Fu felice la vostra
vita?
-
Anche troppo, per un
bastardo, vissi a corte, in fondo o nei pressi. Ma proprio non vi ricordate di
me?
-
Uno dei tanti che
sognarono di avere tra le braccia la Comtesse?
-
Non proprio.
-
Non la desideravate?
-
Ora la desidero, ma non
come amante.
-
Seduco ancora? Morta?
-
Sì. Je suis l'enfant.
L'enfant... e Chevalier de la Lègion d'Honneur, officier le 27 fevrier 1924.
-
L'enfant. Quello che mi
rubò Eugenia.
-
Eravate già morta, madre
e lei aveva perso il figlio, sua ragione di vita. Un figlio somigliante ,nei
tratti, al suo.
-
E si prese il mio.
-
Mi protesse e
raccomandò, favorendo la mia carriera, le mie ricerche. Fui molto
stimato...grazie a lei. L'ho amata, come una madre. Forse più.
-
Eugenia. Si riprese
parte del marito che mi diede, in voi.
-
L'amore delle donne è
potente e grandioso. Eugenia fu costretta ad amarvi e ringraziarvi per sempre,
perdutamente, dopo avervi tanto odiata.
-
L'Italia è donna.
-
E Voi foste la Donna che
la fece.
S'abbracciarono
così come s'abbracciano le anime, senza calore,in un fresco incontro, Veronica
Oldoini ed Arthur Hugenschimdt. L'uomo che unì due donne rivali non fu un
amante, sebbene Imperatore, ma un dentista.
Un
figlio, per due donne.
L'una
Imperatrice di Francia, la bella spagnola.
L'altra,
Imperatrice dell'Unità d'Italia, la bella piemontese.
Rossana
Massa
martedì 20 marzo 2012
Virginicchia, parte III
Lo
sguardo dei cani innamorati è come quello degli uomini brutti. Implorante e
fiducioso. Con la differenza che il cane ama per sempre, l'uomo brutto sarà
fiero di te fino al giorno in cui, avuta te, non sarà tronfio di sé.
Eugenia
s'aggira, qui. Sembra tra gli Zulu. E' uno spirito forte, non ha trovato pace.
Io avevo già lo spirito perduto, quando chi mi voleva non era più all'altezza
del sogno. Ci ricordiamo entrambe, il falso attentato, vero Eugenia? Presso di
me, per allontanare me dall'uomo che ha poi tradito entrambe. Incapace di non
sapersi specchiare negli occhi delle donne...
Tramai,
sì, ma per una Patria che non mi volle. Feci sposare la piccola Clotilde al
vecchio Girolamo. Ragion di Stato. Se un sacrificio vi fu, forse fu il solo.
Piccola e sola, al cospetto della grande Eugenia, ma più nobile di lei. La
santa di Moncalieri, l'anti Contessa. La Savoia altera. Non fece di una camicia
da notte il suo vessillo, prese su di sé una croce. Morì terziaria. Entrambe
andate in pasto ai Napoleonidi eppure così diverse. Tutt'e due spose bambine,ma
se io mi feci icona di stile e di bellezza, lei si fece spazio nel mondo nel
nome di Cristo:
Accogliendo con indefettibile fortezza
la croce della sofferenza,
la tua Serva fedele Maria Clotilde
attraversò le vicende dolorose della sua vita
lasciandosi condurre da una carità sconfinata,
aperta al perdono generoso.
Per
lei Superga, per me l'oblio.
Da
eroina e spia per Cavour, il tessitore, a scaltra quanto narcisista cocotte.
Io.
Da
sposa machiavellica a santa. Tu.
La
differenza sta nella percezione del corpo. Per me veicolo d'estetica e
seduzione, per te oggetto di azioni, tramite e strumento di Dio.
Io
nata per screditare le donne, tu per magnificarle. Io l'esempio da bandire, tu
quello da seguire. Entrambe abbiamo unito due regni, io in un'infernale girone
di peccati sovrapposti, tu nel paradiso del merito e della pietà. Su te non
poté neppure Eugenia, che sapeva di seduzione, ma non di santità, anche se fu
una gran madre, cosa che io, per il mio povero Giorgio, non fui. Noi prive poi
di figlio e di grazia, tu grandiosa nel nome del Signore, di quello stesso che
io non volevo partecipasse al mio funerale. Non onori, non cerimonie,soltanto
oggetti. Affettuosi oggetti simbolo dell'amore che portai soprattutto per me,
finché fui innamorata di me. Di me bionda e Costantino mi consigliò di
diventarlo ancor di più, per entrare nelle grazie di Napoleone. Il resto fu di
mia ideazione: gli anelli alle dita dei piedi, come il cuore di panno cucito
sull'abito all'altezza del pube,il mio vestito da Italia ( io, fui l'immagine
della mia Terra!) al Ministero della Marina come la calzamaglia guarnita di
piume di cigno rappresentando Beatrice dantesca. Io bella tra le belle? Non
solo, ben lo sapeva, il cugino Camillo. Io creativa, io affascinante, io
divina. Quando lo spirito divino m'abbandonò ( Venere e Minerva, in me),
semplicemente non ero più degna dell'Olimpo.
Sapeva
che conoscevo ben cinque lingue a menadito,che avevo maniere regali, buona
conversazione, un corpo giovane ma non era tale la mia ingenuità.
Della
mia bellezza, c'era da fare non più che la confezione di un prezioso oggetto:
il mio carisma. Spietata? Sì, con me stessa. Amai registrare, con la fotografia
,ogni fase della mia vita, incluso il decadimento fisico, che le prose a me
dedicate enfatizzano, ma come si può pensare che, a 60 anni, un corpo sia
totalmente sfatto? Più di un Duca sarebbe ancora morto per me, specie se
giovane, per rendermi trofeo d'amore.
Uno è
un'anima che langue e ancora m'insegue, per queste lande senza tempo. Sospira.
Virginia
mia adorata
bianca
di latte
d'oro
il crine
Virginia
mia bella
sangue
mio caldo
lacrima
di stella
Virginia
assolata
terra
d'Italia
sul
piano addormentata
Virginia
cuore di mare
e
piangere e salare
per
un rifiuto tuo la vita
e
languire finché non sia
finita.
Ne
morì, ne morì lentamente e mi sopravvisse ben poco. Povero Duca, pallido
spasimante dagli occhi fondi e scarso coraggio. Povera anima, desiderosa di
riscatto da una vita grigia, assai poco seduttiva. Che desiderio, passeggiare,
con la Comtesse al suo fianco!
Non
lo volli.
Come
lui, troppi uomini che, a letto, avrebbero goduto la mia imperfezione e non
sarebbero stati amanti ammirati e succubi di una bellezza potente, che
condiziona azioni e pensiero.
Accettare
l'amore del Duca? Il suo appoggio economico? Finire i miei giorni al braccio di
un illuso? No, io sono io e me ne vanto. Non valeva due righe sul Journal.
lunedì 19 marzo 2012
Virginicchia, II parte
Prosegue il racconto tratto dall'antologia "Ribelli":
Lui era il Re. Non me ne voglia Vittorio Emanuele II, un Re vero e non un principiante pronto a strappare la vita ai ribelli. Al nord ai repubblicani, a sud ai ribelli all'autorità savoiarda. Un Re costretto ad uccidere gli amici, per il trono. E a me fare l'Italia, quando mio cugino tentava di fare gli Italiani. Ho fatto del mio meglio, ma dubito che questi ultimi siano poi venuti bene. Che non siano rimasti i divisi rancorosi piccoli popoli cresciuti all'ombra dei campanili...?
Lui era il Re. Non me ne voglia Vittorio Emanuele II, un Re vero e non un principiante pronto a strappare la vita ai ribelli. Al nord ai repubblicani, a sud ai ribelli all'autorità savoiarda. Un Re costretto ad uccidere gli amici, per il trono. E a me fare l'Italia, quando mio cugino tentava di fare gli Italiani. Ho fatto del mio meglio, ma dubito che questi ultimi siano poi venuti bene. Che non siano rimasti i divisi rancorosi piccoli popoli cresciuti all'ombra dei campanili...?
Il
mio cadavere fu sepolto senza la vaporosa eppur succinta camiciola, senza il
cuscino che mi ricamò Giorgio ( per il dolce capo materno e il suo riposo, la
dedica), senza i gioielli su cui s'avventarono gli eredi ed erano ben poca
cosa, niente più di un ricordo d'amore. Braccialetti, che non donarono bellezza
aggiunta a chi il mio fascino non ha mai posseduto. Non avevo più nulla, di
materiale. Soltanto le spoglie imbalsamate di chi mi amò senza sapere se fossi
bella o no: i miei cani.
Li
volevo sepolti con me, nella mia bara, ma chi mi depose non lo trovò dignitoso.
La bella e le bestie.
I
miei cani bestie non lo furono mai, ma furono trattati con la tutta la dolcezza
che non riservai né alla bramosia
maschile né all'invidia livida femminile. Mi amavano senza sapere quale
giarrettiera indossassi. Mi amavano senza odiare il cobalto dei miei occhi, in
una visione di un costante bianco e nero. I miei cani videro il bianco della
mia serenità, il nero del mio dolore. Non uno giace con me, a tenermi compagnia
in eterno, perlomeno tra mortali spoglie. Che chiesi poi? I bracciali, il
cuscino sul cuore del mio ragazzo,i miei cani, il vessillo che unì l'Italia, la
mia camicia. Nulla di più. Ignorata, dimenticata, confinata. M'accompagnarono
qui le persone umili che ebbero infine cura di me, un corteo di camerieri. Per
loro ero la Contessa, per altri la puttana in disgrazia di uno sconfitto.
Eppure
come corsero i Bersaglieri ai capricci bellici del mio Napoleone! Quanti ne
morirono, tra i Turchi, uomini d'onore e di speranze.
Uomini
che io non conobbi mai, confinata com'ero tra le trine.
Volle
il divorzio, il Conte, quasi vergognandosi di una cocotte, ma io nacqui nobile
quanto lui e lo si leggeva nei tratti.
Sì,
mi danzava nel sangue un'antenata ballerina, ma d'alto lignaggio.
Quanti
ne morirono, anche di Garibaldini. Non fu una passeggiata e che dire di quel
povero Pisacane e di quella ragazza che impazzì di dolore trovando morto anche
il suo bel Capitano, tra i trecento. Giovani, forti e tutti morti. Il sangue
degli illusi, lastrica le strade della sconfitta. La vittoria invece è vivace,
è schiava di Roma, le porge la chioma che viene scagliata in cielo,come quella
di Berenice. Là si affollano miti, celebrazioni, sogni infranti e realizzati.
In un punto ben preciso del cielo che conosco solo io ed è esattamente il punto
di cielo che Napoleone toccava con un dito quando era con me.
Lei
mi odiava. Lei che era la mia rivale, Eugenia. Lei che fissò a lungo i cinque
giri di perle al mio collo, percorrendoli come giri di un circuito con il
veleno dei suoi occhi.
Azzurri,
come i miei.
Fu
una glaciale e orrenda battaglia.
Sposata
per amore, amata per sesso, mai mi perdonò di avere oscurato il suo astro
radioso. Un astro ben più intenso del mio. Toccò quasi il secolo, come non fu
per me, che mi spensi in tutta modestia e ben prima, poco più che sessantenne.
Non avrei retto la deriva della vecchiaia.
Ricordo
il giorno in cui c'incontrammo, la mia fama mi aveva preceduta.
Attraversavo
io il salone, lei restava immobile al centro.
Entrambe
elegantissime,lei la stella di Charles Worth, io del mio ingegno.
Lei
rinnovava i fasti di Maria Antonietta, io la eguagliavo in crinoline.
Puntò
gli occhi sul mio collo. Entrambe avevamo collo lungo, candido, di cigno.
Vide
le perle e inorridì.
Sposa
dell'amore, ne ricevette dal marito, a suo tempo, dono di passione.
Stessa
passione lesse sulla mia pelle e lei, che l'aveva strappato ad Adelaide, nipote
della Regina Vittoria.
Da
allora, fu il delirio.
Troppe
donne nel letto di Napoleone. C'era una piega amara nel sorriso formale di
Eugenia. Nascondeva l'astio nei confronti di nobildonne e borghesi ( anche la
figlia di un calzolaio), tutte frequentatrici ben pagate del talamo reale,
alcune liquidate con una piccola fortuna. Due figli aveva avuto da una
cucitrice, un'anonima donnetta delle Tuileries. Senza pace, quell'uomo. Mi vide
e nello sguardo, fiero, qualcosa mi diceva:Tu, come ogni altra e così non fu.
Io
sola so, io come mi amò.
Sarebbe
stata italiana , l'imperatrice di Francia!
Illusa,
ebbe a dirmi Eugenia, mostrandomi il trifoglio di smeraldi, per avermi mi
sposò, tu non sarai la prima e neppure l'ultima.
Un'altra
oltre me e dopo di me? Com'era mai possibile?
Lo
fu.
Valentine.
Ne
ebbe un altro figlio.
Ah,
Eugenia. Accomunate dalla stessa sofferenza. Tradite dallo stesso uomo, madri
orfane di figlio unico. Morì, come morì Giorgio, il tuo Loulou, e a colpi di
zagaglia.
Quella
stessa che colpì demolendolo il mio narcisismo fino a darmi il senso della
finitezza, della disperata disgrazia di sfiorire in vita, senza esserne
inconsapevole come un fiore. Tu però fosti forte, io mi spensi.
La
tua condanna fu sopravvivere 40 anni alla morte del tuo ragazzo con gli occhi
chiari. Per me, la sofferenza fu più breve.
Le
dissi, con malizia: la più bella è Sissi, il giorno che mi fece notare come la
mia eleganza osasse troppo.
Non
l'ho mai pensato,ma è tutto ciò che poteva, di velenoso, dire, una cortigiana.
Lo
raccontavo nei miei scritti, così come descrivevo vizi e virtù sia di Napoleone
che di Vittorio Emanuele II.
I
miei carteggi, i miei appunti furono distrutti, così come si voleva distruggere
la mia memoria. Nulla mi ricorda, nella mia terra, che senza me non sarebbe mai
stata Italia. La stella cometa che sorvolò la mia casa alla mia nascita non
poteva annunciare che un grande evento e l'Italia è mia creatura.
Lo è
non meno delle donne che persero la vita accanto ai repubblicani, che
sostennero garibaldini e cospiratori, che fiaccarono la loro bellezza con la
fatica di vivere, che misero a rischio averi e famiglia. Mai più di me e della
mia discussa reputazione, messa in forse anche all'attentato inscenato e
orchestrato da Eugenia.
Si
parlerà molto dei miei specchi.
Nessuno
sarà capace nemmeno d'immaginare che vedevo ogni volta che mi specchiavo. Non
le rughe o la pinguedine dell'età.
Io
vedevo tutto quanto era perduto.
Tutto.
Compreso il mare, a Spezia.
Almeno
Costantino morì a Rapallo.
Qualcuno
disse che eravamo vittime di credenze e illusioni, di esoterismo e disturbi
della personalità. Narcisismo, dicevano. Ma come non pensare d'essere unica, se
tutti s'innamorano di te e tu stessa t'ami a tal punto da portarti il lutto,
quando nemmeno gli abiti ti rendono il massimo splendore. Sicuramente non m'ha
amato Dio, dandomi un dono senza scrigno per custodirlo. Non volevo alcun
funerale religioso, infatti. Nessun clamore inutile.
Invece
mi portarono davanti ad un altare e intanto setacciavano casa e distruggevano
ogni missiva, ogni appunto di quell'uomo che solo negò la mia bellezza ed il
mio fascino superiori e morì come un cane randagio, calciando contro la Chiesa,
portando con sé la fine del suo povero confessore.
Non
avevamo remore cattoliche. Eravamo oltre.
E a
Dio perdono non chiedo.
Se
sono innamorata?
Del
mio piccolo ultimo cane.
Del
suo modo di guardarmi, come se io fossi Dio.
Lo
sguardo dei cani innamorati è come quello degli uomini brutti. Implorante e
fiducioso. Con la differenza che il cane ama per sempre, l'uomo brutto sarà
fiero di te fino al giorno in cui, avuta te, non sarà tronfio di sé.
Il mio papà, tema
Il mio papà era bello, lo diceva sempre la mamma, ma lo sapevo già da me,perché mi piaceva tanto. Era alto, con la pelle olivastra, gli occhi verdi, il naso pronunciato e una testa di capelli così, che tali rimasero per sempre. Dopo i 50 aveva ancora i suoi bei riccioli che ricadevano sul collo. Aveva un fisico asciutto, era atletico, aveva fatto scherma e un po' di pugilato,suonava la tromba e il flicorno tenore, era stato negli Alpini sulle Dolomiti, ma apriva la fanfara dei Bersaglieri,correndo. Il mio papà faceva l'elettricista, ma sapeva suonare,comporre, dipingere, scrivere e ogni tanto inventava qualche oggetto, perché si dilettava di elettronica e meccanica.In compenso non sapeva fare un uovo al tegamino.
Andava a caccia, ma in fondo non era affar suo.Il più delle volte andava in campagna con il cane e il fucile a spalla, ma non lo usava.Meglio il tiro al piattello, sparava benissimo. Ne approfittavo io, ai baracconi. Gli facevo vincere un sacco di carabattole, ma anche una bambola vestita da dama del Settecento.Bellissima.
Il mio papà era ombroso e malinconico, in privato, spesso afflitto da uno spleen irrimediabile, ma fuori casa era piuttosto simpatico. Imitava Jerry Lewis e Walter Chiari. Io e lui insieme, se di buzzo buono, facevamo a gara a battute, eravamo come Chiari e Campanini, Totò e Peppino, guai a chi ci capitava in mezzo. Mamma, che aveva poco senso dell'umorismo,ammutoliva, noi eravamo irrefrenabili.
Il mio papà piaceva alle ragazze. Qualcuna me lo diceva pure in faccia: com'è bello suo padre, e come è simpatico...fino a dire: io con un uomo maturo ci andrei, tuo padre, ad esempio. Chi lo disse aveva la mia età, 23 anni e lui ne aveva già 54, ma era di quelli che, avendo avuto una famiglia complessa, irregolare e un numero cospicuo di matrigne...era fedelissimo. Una cosa quasi patetica, tanto che, morta mia madre, si mise d'impegno per morire anche lui. E pensare che l'aveva tiranneggiata non poco e trattata come una cosa sua e poco pensante.
Il mio papà era coltissimo, benché avesse un'istruzione da autodidatta. Leggeva, studiava, di continuo.
Era severissimo, pur concedendo una certa libertà. Secondo lui bisognava eccellere, la normalità era segno di mediocrità.
Qualcosa di ben fatto un dovere, una mancanza un grave errore...
Troppo rigido, un vero Capricorno.
Non era indulgente con nessuno.Era fumino. Aveva il motore di un TIR ma un fisico di cui s'approfittò troppo, come tutti quelli che credono di essere semidei.Il mio papà era uno strano credente, pensava che esistesse un Dio, ma faceva solo di testa sua, pur dicendo: siamo nelle mani del Signore.
Devo il mio nome a lui, amava il Cyrano de Bergerac.
Ripensandoci però, sarebbe stato meglio se mi avesse chiamata Cyrana, perché alla fin della tenzon , io tocco.Sempre.
E ho anche il naso importante.
domenica 18 marzo 2012
Virginicchia
Per chi dice : "scrivi", l'ultimo racconto pubblicato, per l'antologia " Ribelli", una prima parte di "Virginicchia", un racconto dedicato a Virginia Oldoini, la Contessa di Castiglione.
L'antologia, scritta in onore dell'Unità d'Italia, raccoglie racconti che partono dall'Ottocento e arrivano ai giorni nostri. Ho scelto di parlar di lei, la mitica Contessa, riabilitandone la fama.
Chissà, se ci sono riuscita...
VIRGINICCHIA
Stava
racchiusa nel suo pugno. Me la tolse e poi l'appallottolò, racchiudendola tra
le sue dita. Mi sdraiai mollemente su un fianco, sapevo ovviamente reggere il suo sguardo anche senza
veli, eppure quella minuscola camicia di seta l'aveva sedotto, con il suo bel
tessuto cangiante, il lieve bordo di pizzo della sfumatura più delicata dei
miei occhi nelle giornate serene. Mi disegnava le curve come l'acqua di
sorgente accarezza e lambisce le rocce dalle quali nasce. Come l'acqua
scivolava sulle mie forme, rinfrescandone la bellezza. Per essere bella, ero
bella. Alta, bionda, opulenta. Non l'unica bella donna che percorreva saloni di
palazzo e saliva e scendeva scaloni di rappresentativa vanità gentilizia di
quei tempi. Molte eravamo, tutte bellissime. Ciò che forse mi distingueva era
l'assoluta coscienza e certezza dell'Io.
Ho sempre avuto in me la perfetta consapevolezza di ciò che fossi: un'idea. Una
Dea. Uno scampolo d'iperuranio al quale ambire. Una perla da possedere, una
gemma da custodire, una pietra di paragone, un feticcio da odiare, un animale
da sottomettere, un desiderio da domare.
Me ne
accorsi bambina. Nessuno sguardo mi ammirava compassionevole. Non un paio
d'occhi si soffermava su di me mostrandomi un puro, tiepido, rassicurante abbraccio
d'amore. Mi si guardava con cupidigia, mi si mostrava con vanto e fierezza, mi
si gonfiavano le piume di sorella vanità. Fierezza che non ha mai abbandonato
il mio sguardo viola. Che poi qualcuno lo vide viola cupo, chi invece blu. Chi
lo recepì d'un oscuro verde bottiglia e chi grigio come acciaio di lama, ma io
sola so che fu colore del mar Ligure verso l'ora del tramonto, quando il verde
si cangia in indaco e poi sprofonda nel blu e infine la foschia tinge di
grigio. Ora si direbbe: occhi azzurri, decisamente azzurri, senza svenevolezze
cilestrine di dolciastro pallido, ché io dolce non fui mai. Io dovevo essere
puro alabastro, statua di carne, così come la Principessa di Metternich mi
definì ( bontà sua, fu una delle definizioni meno crude che mi diedero), in cui
la dolcezza possa essere un vezzo e una posa di pura leggiadria acquisita un
po' per nascita, un po' per educazione.
Quel
nulla di seta ricamata, rimase nel suo pugno per poco. Aprì la mano e guizzò a
terra e lì restò finché io non la raccolsi stringendola, a coppa, tra le mani,
ad amplesso compiuto. Ufficiale amante.
Di
quella seta è fatta la bandiera italiana,mutuata da quella francese nei tre
colori. Soltanto il blu è diventato verde, ma al centro avrebbero dovuto cucire
un lembo della mia gloriosa camicia. Non mi sarebbe perlomeno stata sottratta.
La
trovarono, cimelio, in una casa patrizia. Io, oggetto da collezione, quando
furono gli altri, i concupiti, i miei oggetti/soggetti da annotare, descritti
in pochi tratti, come su un fedele taccuino di viaggio del Migliara. Acquarelli
di parole, i miei incontri, tuttavia cifrati, pennellate dense e scarse.
Sedurre
per essere viva.
Sedurre
per indurre a sperare.
Severo
e poco indulgente con la nobiltà, quel genovese, ha di certo guardato con stizza e sufficienza le
manovre di mio cugino per regalare l'Italia ai Savoia. Di sicuro m'avrà
sottovalutata, per non dovere ammettere che le carni di un'aristocratica han
dato una patria per cui morire anche ai repubblicani.
Giovane
Italia, Giovane Virginia, che di verginale aveva la pelle eburnea delle pallide
creature lunari e chiare e questa luna, questa notte, che lambisce la mia
lapide, mi ricorda le veglie e i sospiri che accompagnarono le mie tante morti.
Mi morì il vecchio Conte, mai amato. Mi morirono intorno miriadi di attempati
ammiratori, nel corso del tempo, mi mancarono gli adorati cani , ma soprattutto
mi morì il mio bambino.
Il
mio “bambino”.
Nessuna
madre può sopravvivere alla morte di un figlio, checché ne dicano coloro i
quali pensarono che piansi sulle mie rughe, sulle mia carne che si scollava
vizza dalle ossa, sulle mie guance sempre meno piene o sui miei seni. Non
invecchiai mai a sufficienza per assistere a ciò che l'invidia altrui auspicava
da sempre e ancora oggi augura a qualsiasi donna bella: il disfacimento. La
perdita di tono e di senno. Il tramonto della superbia che rende una donna
bella invincibile tranne che dall'età. Come se io lo temessi veramente. Non si
teme il decadimento, semmai, da leone morente si temono soltanto i calci in
faccia dei somari.
Il
mio Giorgio non c'era più. Con lui, qualsiasi futuro, tramontato l'astro del
“mio” Napoleone III, che mio non fu mai. Il caro cugino ne approfittò per dar
di scacco matto al Pontefice. L'Italia era fatta, Nicchia da quel momento
poteva anche diventare sfatta. Sciocco. Un'icona non muore, sempre che non la
s'infanghi, non la si tratti con disprezzo o peggio, con indifferenza. Non
tornai mai in Italia. Non dopo il divorzio chiestomi da un disperatissimo
cornuto, stanco di portare macchie sul blasone, ma Giorgio, quel Dio che non ho
voluto ai funerali, non avrebbe mai dovuto strapparmelo.
Sarei
rinata, tra le sue braccia adulte, chiedendo perdono di donna, cercando nei
suoi occhi le stesse voglie di qualsiasi uomo per una donna, facendolo
riflettere sulle umane debolezze, specie maschili, chiedendogli di perdonare di
aver catturato tante anime di passaggio, giunte al mio letto a far da custodi a
corpi innamorati. Virginicchia, bottino da Re.
Nicchia
sarebbe andata , così, a perdersi tra ricordi di lenzuola e sarebbe rimasta la
madre.
Giorgio
morto, la mamma non nacque mai a vita contemplativa della vita che scorre in
altre vite.
Non
che ritenessi da quel momento la vita un grande bene. Semmai un capitale, un
patrimonio da sperperare in un lusso sontuoso quanto superfluo ornamento di un
corpo perfetto, in realtà mirabile cassa di risonanza di una mente che fa del
corpo il suo oggetto d'arte, da vestire e rivestire di fascino creativo. Non
per nulla sono amica, qui nell'eternità, di Coco Chanel. Abbiamo avuto amori
simili e creatività da vendere e siamo morte quasi folli, sole e sfinite.
All'ombra del mito del nostro nome e alle fanciulle in fiore che eravamo state.
In
Italia di me nulla si sa. In Francia fui icona di bellezza ed eleganza, di
sensualità e charme.
L'Italia
non vuole avere le mie chiome bionde, se ne vergogna. L'Italia è una bruna
mediterranea, prolifica e fedele.
Giorgio
morto, stavo ore alla finestra a stringerne un piccolo cuscino, che ricamò
bambino, punto su punto, anche aspettando una madre d'altri sospiri avvinta.
Che
poi furono spesso sospiri fasulli, tranne quando la testa di qualcuno di questi
grandiosi pur sempre umani personaggi della Storia, s'infilava tra le mie
cosce. Allora sì, gemevo, ma sono piaceri che si dimenticano, così come si
dimentica il dolore. Resta il ricordo di sudore e bava.
Rivoltante.
Più
fascinosa l'attesa. Più attraente la conquista. Più coinvolgente la scelta di
trine sofisticate, di lacci civettuoli, di velluti chiari, di lini trasparenti,
di voile di seta limpidissimo e leggero. Cristallo di stoffa.
Grande
opera artistica, la seduzione. Quando l'uomo è già in ginocchio, è già finita.
Non
con Napoleone. Lui, no.
sabato 17 marzo 2012
venerdì 16 marzo 2012
giovedì 15 marzo 2012
domenica 11 marzo 2012
Maxi indulto
Qualcuno sembra non accorgersi, ma è in corso un gattopardesco cambiamento per riottenere fiducia dal mondo intero. Il look è cambiato, abbiamo tirato fuori il loden dalla naftalina, per assicurare che un'Italia più sobria c'è, esiste,nei costumi e nell'apparenza. Il premier sfoggia i suoi capelli grigi, le donne, serie e non belle neppure da giovani, ricoprono ruoli anche tradizionalmente maschili, schiacciando l'occhio alla Merkel a dimostrare che l'eccellenza femminile, in Italia, esiste. Come esiste la famiglia, c'è sempre stata, a far da spalla ad una società tremolante, nei suoi valori tradizionali,colpiti da un eccesso di pornizzazione, che ha dissolto in certi casi l'amore a favore del sesso, pur tenendo in piedi il costruito a modo suo.Il governo tecnico prende misure impopolari, e ben contenti i politici che guardano la Fornero osare dove Tremonti ha avuto paura di inoltrarsi, pena il linciaggio mediatico.I grandi processi, tanto attesi, si risolvono in nulla di fatto, previo accordo.Salviamo la faccia ma anche le vecchie maschere. Intanto il Paese resta un'anonima mafiosi, che comanda su tutto il territorio nazionale, ben distribuita da nord a sud, secondo le previsioni di Sciascia. Le Caste conservano i loro privilegi, il gregge subisce, paga, si piega, si dà fuoco se perde il lavoro.
Di Pietro sbraita, non è più la scopa del sistema, ma a dire il vero Mani Pulite ci portò soltanto un sacco di guai, questo è un Paese che, appena sente aria di cambiamento, mette in cima un Mussolini qualunque, perché la borghesia si senta in pace e continui a tenere il Paese per i testicoli. Con una differenza: Mussolini creò lo Stato sociale, i mangioni odierni l'hanno distrutto. consumando le nostre risorse e distribuendo a destra e a manca posti pubblici, privati, pensioni sia vere che fasulle basate su invalidità inesistenti.
Il capitale è invincibile, caro Marx. Ora comanda allo stato puro, si chiama banca e tutti esultano, se finalmente hanno una banca, anche quelli che un tempo dormivano con il libretto rosso di Mao sotto il cuscino.
Siamo tornati ai modi vittoriani, all'eleganza senza clamore dei veri ricchi di famiglia, alla svalutazione (spero) dell'apparenza eccessiva artefatta, ma sono tutti innocenti. Tutti puri. Hanno tutti ragione.
Siamo tornati un popolo di Santi, di Eroi sui tralicci, di navigatori alla Schettino.
Un premier scivolato su una buccia di troia importata.
Un nuovo premier che conserva al caldo il culo dei potenti.
La consapevolezza dei poveri che non contano mai nulla, ma devono temere, come sudditi, l'effetto Titanic. Non ci sarebbe, per loro, alcuna scialuppa di salvataggio.
La foto è mia, scattata all'Eur.
sabato 10 marzo 2012
giovedì 8 marzo 2012
mercoledì 7 marzo 2012
Commemorazioni e memento mori.
Posto poco, è vero. Ultimamente, ricordando la dipartita di qualcuno.Sia tuttavia bandita la totale tristezza.
Tutto è conseguenza.
Anche la morte della vita.
martedì 6 marzo 2012
lunedì 5 marzo 2012
domenica 4 marzo 2012
La mia farfalla
Emula di Belén non direi, l'ho preceduta, ma la farfalla ce l'ho anch'io. A dire il vero è un po' imbalsamata in uno scatolino, ma potrei invece darle una degna sepoltura, come si fa con le persone di famiglia. La mia farfalla è nata dal bruco che avevo trovato in frigo, orfano del broccolo nel quale viveva, che proveniva dalla Germania, sopravvissuto al viaggio, alla mancanza di cibo e al freddo, da me allevato a insalata mista in un piatto di pirex, finché una sera s'è appiccicato a una foglia, l'ha rivoltata e s'è messo a dormire. Ho guardato in rete, c'era da aspettare 40 giorni e la trasformazione sarebbe stata completa.
Ho atteso, osservando il fenomeno attentamente, ma mi ha colto di sorpresa comunque, perché ho i riflessi tardi e quando ho visto un cosino marrone svolazzare intorno alla pattumiera, non ho realizzato subito che fosse la mia farfalla. Erano giornate fredde. Mi son detta: che farà, povera la mia farfalla?Dove trova dei fiori in questa città grigia, dove bisogna giusto andare dal fioraio per vedere qualcosa di fiorito, a febbraio? Il freddo era abnorme così come qualche giorno dopo s'è mutato in primavera.
La mia farfalla è nata in tempi bui, tant'è che, a malincuore ho aperto la finestra e le ho augurato buona fortuna, il fioraio non è lontano.
La mia farfalla è nata in tempi bui, tant'è che, a malincuore ho aperto la finestra e le ho augurato buona fortuna, il fioraio non è lontano.
Qualche giorno dopo, invece, facendo le consuete pulizie di casa, l'ho trovata morta, sopra il frigo. Il frigo vecchio, che funge da congelatore e conserva la riserva d'acqua minerale e succo d'arancia senza zucchero, dal quale sono oramai dipendente, al mattino.
E stop.
Mi posso consolare pensando che quei quattro giorni a mangiare foglie d'insalata sempre fresca e varia son stati una pacchia, che ha dormito al calduccio nel mio piatto, ma rientrare in casa l'ha uccisa.
C'è un angolo del pensiero che ci riporta al passato. Ci convince che vi si può trovare rifugio, ma non è così.Ne è stata vittima anche la farfalla.
I motivi sono tanti: la vita è un fiume di pianura, scorre lento ma va.Inesorabilmente.
Il passato non ritorna, al massimo si ripresenta come un riflusso esofageo.
La cosa migliore è utilizzare il materiale del passato e adattarlo al presente.
Che ne so, il ferro da stiro della bisnonna diventa un meraviglioso portafiori.
Un tempo aveva la sua bella utilità, con il tempo diventa una bella cartolina.
E' che siamo come la mia farfalla, cerchiamo luoghi dove siamo stati bene e ci restiamo male se nel nostro parco ci hanno costruito un centro commerciale.Allora, io credo che si possa pensare a farci un giro all'interno. Magari c'è un bar, un bel negozio, una panchina anche lì, diversa, alla luce artificiale ma c'è. A modo mio, ci penso su un bel po', ma poi trovo il modo d'adattare la situazione al presente.No, la gente vuole la vecchia zolla sulla quale stava la panchina di prima.Protesta, crea il Comitato propanchina nel parco che non c'è più, pretende che qualcuno si metta ad arco, mani e piedi a fare la panchina, per chi è arrivato bell'e fresco dal passato.
Il passato non c'è più.
E muore o cambia parco, stizzita.
E si perde un bellissimo centro commerciale.
giovedì 1 marzo 2012
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