sabato 25 agosto 2012

Capitalismo

I ladri poveri sono ladri perché sono poveri. I ladri ricchi sono 

ricchi perché sono ladri.

(Pino Caruso)



venerdì 24 agosto 2012

Come la moglie di Totti.

Che io sia misogina, è risaputo.
Trovo che le donne siano calcolatrici disposte a qualunque sacrificio pur di avere il dominio su una famiglia, un uomo, una situazione lavorativa, purché si tratti di un investimento,che comporti un vantaggio di tipo economico o per quanto riguarda un'idea molto personale di prestigio e/o carriera. A parte quelle che la danno via per averne un ritorno sull'unghia, come diceva mio padre, le puttane l'affittano, le mogli la vendono. Oddio, magari un passaggio innamorato c'è stato, ma poi prende presto la configurazione della resistenza per la convenienza.Non si spiegherebbe diversamente il denaro impiegato da parrucchiere ed estetista, medico estetico,pedicure/manicure e negozi alla moda.Le donne sono un prodotto, ma a differenza degli altri prodotti, che sono consumati, pretendono poi di consumare. Molto più facilmente degli uomini si adattano a un matrimonio di ripiego, basta che comporti dei vantaggi. Molto più agevolmente sorvolano sulle corna, se questo può comportare di non perdere benefici. C'è nelle donne un animo da ragioniere che deve per forza ammantarsi di puttini alati, bambini nei vasi, cuccioletti adorabili  e cieli rosseggianti sovrastati di frasi da cioccolatino Perugina. Non sempre si tratta di falsità, inoltre. Hanno spesso il buon gusto di crederci. Sono convinte di essere sensibili, per il liquame sentimentale di cui amano circondarsi, ma amano soltanto il loro benessere.Un quieto vivere per sé e la prole per istinto.La qual cosa forse sarebbe anche naturale, come per gli uomini la propensione a volte più virtuale che reale di "farsele tutte", una risposta alla necessità di riproduzione, che vede la donna giocare sulla quantità dei rapporti fino  a riproduzione avvenuta ( poi, chi se ne frega) e l'uomo sulla varietà da ingroppare per la certezza della propria propagazione ( per sempre). 
C'è di più. L'attaccamento materiale. Sia ai beni che a ciò che viene percepito come tale.
Le donne sono suscettibili alla pubblicità e all'opinione che gli altri hanno di loro. C'è nella donna una sorta di gerarchia incorporata che le vuole succubi di alcuni mentre ne mettono altri in riga.Se nell'uomo lo spirito di sopravvivenza è anarchico ( faccio come voglio, dunque sono), nella donna è più...sono come mi vogliono, dunque valgo.
Conoscente orologiaio-gioielliere.
Mi fa: vendo ReCarlo, Miluna, Chimento...e tutto ciò che si vede sui giornali per effetto della pubblicità.Poi avrei rotoli di gioielleria valenzana, di qualità, peso, lavorazione, che possono essere piacere estetico come investimento, da regalo di fidanzamento alla laurea, all'anniversario di matrimonio, ma che difficilmente ci chiedono. E mi racconta di taccute cretine che entrano in negozio chiedendo "voglio la collana che porta al collo la moglie di Totti", perché qualcuna non sa come si chiami. Vale per tutto.Capelli, abito, borsa, scarpe sono "come qualcuno" e sono andate in vacanza dove è andato qualcun altro. La loro vita sembra la perenne fotocopia di quella altrui e con un'atroce avidità di fondo: avere cose per avere un'identità.
Perché la questione è che non ce l'hanno.
Sono ciò che il lavoro, la famiglia, la società le autorizza a essere.
Anche il coniuge si esibisce, se è bravo in qualcosa.
E si esibisce la casa, il cane, il gatto, l'ideologia.Si parla dei figli e dei loro successi. Agli stessi si garantiscono stupidaggini a non finire.
Il gioielliere-orologiaio mi dice che, per una laurea conseguita, un padre ha speso 850 € in monili d'acciaio.
Acciaio, una batteria di pentole, in pratica, ma da mettere addosso.
E mi descrive la protervia con cui arrivano in negozio squinziette con il fidanzatino di primo pelo, coglioncello o il paparino generoso che vogliono " il collier di Miss Italia". Non c'è alcun valore simbolico nell'oggetto. Non è neppure più l'anello che si porterà al dito fino alla fine dei giorni.E' affermare: sono come quella.
E' uno sfizio.Di nessun valore come tutto ciò che fanno.
E che sono, aggiungo io.
Non solo: mi mostra il catalogo degli orologi. Mi fa: 100 euro di vendita, valore materiale meno di 20, che la Ditta costringe a comprare in tutte le varianti di colore, ma poi fa pubblicità con un solo colore al polso della smutandata di turno. E lui lo vende soltanto DI QUEL COLORE. Il resto passa di moda nel cassetto.
Io amo le cose belle. Molto. Amo anche le cose simboliche. Tanto.
Sono poco influenzabile, per fortuna.
Inoltre, per una strana innata tendenza personale, non sono in vendita,anche se provo piacere in tutte le "debolezze" femminili. Tranne se costano dolore, non farei mai neppure una ceretta, ad esempio.
E non mi ricordo neanch'io come si chiami la moglie di Totti.So che non mi piace, ha un po' la faccia bamboccia.
Infine. Tutto è prezioso e nulla lo è, ma decido io le priorità.




martedì 21 agosto 2012

La maledizione della prosa: la scuola ama i poeti.

Il 21 agosto 1862, 150 anni fa, nasceva a Verona Emilio Salgari.
Moriva in povertà  e per disperazione, a Torino,senza aver compiuto 50 anni.
Nato in una bottega a Porta Borsari, studiò a Venezia, l'idea era di andare per il mondo, in qualità di Capitano, invece non viaggiò mai, diventò giornalista,ma ben presto anche scrittore. L'attraeva l'esotico ,sarà che l'Oriente  batte alle porte di Venezia  e si percepisce bene anche a Verona. Muoiono entrambi i genitori,sposa un'attrice teatrale e, con il contratto di un editore in tasca, se ne va a Torino.E studia e scrive, studia e scrive "Mastro Catrame", la Regina Margherita lo fa insignire di un Cavalierato della Real Casa. E' un fiore all'occhiello per Torino, per il Regno, per l'Italia, Salgari. 
Dalla sua penna,da Sandokan  a Yanez fino al Corsaro Nero.
La mia infanzia è passata per le tigri di Mompracem. Salgari è stato, con Verne e Stevenson, l'ispiratore di parte del mio carattere. L'avventura, magnifica oltre la realtà, si  è sempre consumata nella quiete di una biblioteca, di un salotto.
Come Che Guevara, me ne innamorai.
Non sapevo nulla di lui, della sua prolificità, della mole enorme di scrittura che gli fu propria né delle sue tragedie di famiglia ( padre suicida, moglie folle...).
Morirà nel sangue, come uno dei suoi eroi.Pieno di debiti, legato mani e piedi a un contratto editoriale poco redditizio.
Poi sarà la volta della moglie e uno ad uno, di tutti i suoi figli.
Questo dramma peserà sulla sua reputazione. Non credo ci sia una scuola che porti il suo nome, nonostante la grande produzione letteraria.
Mi consola tuttavia pensare che neanche Carlo Collodi , inventore del notorio Pinocchio, ha scuole a lui dedicate in quantità.Eppure fu soldato che si fece onore e morì anziano, Lorenzini.
Vamba, Luigi  Bertelli, mitico autore del Giornalino di Gian Burrasca era forse troppo irriverente...
Insomma. Le scuole italiane sono dedicate a Carducci, Pascoli,fino alla nausea.A seguire, De Amicis, che poeta non è, ma scrisse un'opera edificante, in "Cuore",anche  se le cronache lo raccontano come un tipo vivace.
Per Salgari nessun riconoscimento se non dal cinema ( ne ha ispirato tanto).

La scuola ama la calma piatta dei poeti.




Eh, già.


sabato 18 agosto 2012

Caro, estinguiti.


Caro, estinguiti.

Tutti i giorni al cimitero.
In fila tra le vedove al botteghino dei fiori, un piccolo chiostro in muratura, con una vetrata posta a semicerchio dall’aspetto vagamente liberty. Chi per le rose, chi per le dalie, ai Santi i crisantemi…Qualcuna persa dietro rami di orchidee pallide.
Ogni mese tuttavia se ne perdeva qualcuna per strada. Alcune vedove diradavano le visite, perché il lutto si vive assai bene anche a casa, tra le mura domestiche. Altre morivano, a loro volta, anziane. Alcune si risposavano, magari un vedovo, a forza d’incontrarsi nei paraggi delle tombe.Mutava il parco vedove. Se ne aggiungevano altre, pallide e smagrite o di quell’obesità cattiva, grigiastra, fatta di cibo consolatore.
Maria Eugenia resisteva imperterrita a visitare il luogo di sepoltura dell’unico grande amore della sua vita, incontrato dopo alcune vicissitudini sentimentali. C’è tuttavia un Dio dei cuori infranti, li avvicina, li mette in comunione, fa sposare il dispiacere alla compagnia e questa alla rinascita.
Maria Eugenia e Giacomo erano insieme rifioriti, raccolti i pezzi delle illusioni precedenti e gettati alle spalle come coriandoli o il soldino che si butta a Trevi per tornarci. La differenza è che nessuno dei due voleva tornare alla disperazione precedente. Guardavano bene avanti e nella stessa direzione, tenendo cuore e sensi al caldo l’una dell’altro. Quando si dice un incontro indovinato.
La morte tuttavia sta in agguato, carpisce i disattenti e troppa birra e colesterolo a pacchi portarono Giacomo nell’aldilà, lasciando Maria Eugenia all’al di qua.
Disperazione integrale. Voglia di morire.
Chi muore giace, chi vive si dà pace, si dice. Bene, non è così, pace per lei su questa Terra non ce n’era. Giorno e notte un magma rovente di sofferenza.
Dialoghi con la sua lapide, con Dio e con se stessa.
“Mio Dio perché non hai preso anche me?”
“Buon Dio perché me l’hai fatto incontrare, per poi togliermelo e soffrire?”
“Dio mio ridammelo, anche soltanto un’ora!”
“ Che cosa non farei per riaverlo vicino a me!”
Così ogni giorno, con qualsiasi tempo, nell’andirivieni al cimitero.
Dio è misericordioso. Ascolta chi soffre.
Maria Eugenia stava guardando una fiction alla tv, di malavoglia, giusto aspettando l’ora di andare a letto, che sentì suonare il citofono.
“Chi è?”
“Io”.
“ Non faccia lo sciocco. Soltanto una persona al mondo potrebbe rispondermi così e quella persona non c’è più”.
“ Tesoro mio, sono Giacomo. Credimi, sono proprio io. Dio ti ha esaudita.”
La sua voce! LA SUA VOCE! Calda, pastosa, sempre quella. Dolce, rassicurante, maschia. Era lui, era tornato.
Corse ad aprire la porta, sarebbe arrivato in ascensore.
Aprì la porta restando sulla soglia.
Giacomo uscì dalla cabina. Sì, era lui. Esattamente lui, nello stesso abito blu del matrimonio macchiato color pus rappreso. Non odorava neppure più di marcio, semmai di stantio come la carne secca. Non entrava in casa tuttavia. Era basita. Del volto, soltanto più o meno la metà. Il resto accartocciato, mangiato, consumato dalla lebbra del tempo e della decomposizione. Vomitò.
“ Non far così, Eugenia. Sono pur sempre io. Ascolta la mia voce. Abbracciami”.
No, abbracciarlo, no. Giacomo aveva capito, indietreggiando tristemente.
“Entra”, disse lei riprendendosi e mostrando infine la sua cortesia.
“Un attimo, recupero il dito che è rimasto incastrato nel pulsante”.
Aveva perso un dito.
Non solo, camminando gli si era staccato un piede. Aveva un solo padiglione auricolare.
 L’ aspetto era rabberciato ed incompiuto e i denti sembravano enormi, nella mandibola nuda.
Giacomo raccattò il dito ed entrò in casa. Corse ( si fa per dire), verso la sua poltrona e si piazzò.
“Ah, come si sta bene”.
Sulla poltrona si sparsero in un attimo strane e repellenti bestioline nere e pelose, che lui guardò quasi con affetto e lei svelta risucchiò nel bidoncino aspirante.
“Vedo che bevi ancora il porto”, disse lui indicando la bottiglia che prese tra le mani, ma non seppe trattenere e quella andò in frantumi, sul cotto del salotto.
“ Quanto pensi di restare?”, disse lei
“Be’, per sempre…”, rispose lui.
“ Ma sei uno zombie!” disse lei molto irritata.
“ E che volevi che Dio ti mandasse, un ventenne?”, ribatté lui un po’ seccato.
“ Io veramente pensavo ad un fantasma!”, chiarì lei con impeto.
“ Certo, come no, Ghost, e si fa insieme il vaso di ceramica!” Così dicendo si mise a ridere, a sghignazzare talmente che la lingua gli cadde sulle ginocchia.
“Che schifo!”, fece lei.
“Ecco, sempre la solita stronza, figurati se non aveva qualcosa per cui lamentarsi. Piangeva, mi voleva, si disperava, lei! E adesso che sono arrivato, sono rifiutato!”
“ Ma perdi i pezzi!”
Maria Eugenia era incazzata nera, quel lurido cadavere gli stava imbrattando apposta il tappeto.
Se lo fosse ripreso, il buon Dio, quell’elemento. Era il solito stronzo,faceva tutto per dispetto.
“Vattene, sei morto!”, fece lei agitando un crocefisso.
“ Mi hai preso per un vampiro, scema di guerra?”, disse Giacomo con una certa stizza.
Passò in quel momento il gatto, com’è come non è, con un guizzo imprevedibile lui lo afferrò e lo mangiò. Crudo,sbranandolo alla bell’e meglio.
“Bbono”, concluse, con un rutto.
A questo punto Eugenia, rattristata ma anche rinvigorita per la perdita del micio, lo prese a scopate. Gliene diede tante ma tante da ridurlo in brandelli e racchiuderlo in un sacco dell’umido.
“ Ti porterò al parroco, saprà lui come fare, con te”.
Lo mise così nel congelatore aspettando che Don Angelo aprisse bottega.



Anger is an acid....

... that can do more harm to the vessel in which it is stored


 than to anything on which it is poured."


Mark Twain



Prima regola. Sputare fuori tutto quando girano le balle.La 

cosa peggiore che può succedere è perdere gli amici, ma gli 

amici sono come gli ombrelli.Se li perdi, te ne cerchi degli 

altri.Ricordandoti che servono soltanto quando piove,se c'è 

bel tempo, non servono a niente.



Bah


“Madre di Dio, Vergine, caccia via Putin! caccia Putin, caccia Putin! Sottana nera, spalline dorate. Tutti i parrocchiani strisciano inchinandosi.
Il fantasma della libertà è nel cielo.
Gli omosessuali vengono mandati in Siberia in catene. Il capo del Kgb è il più santo dei santi. Manda chi protesta in prigione. Per non addolorare il santo dei santi le donne devono partorire e amare.
Spazzatura, spazzatura, spazzatura del Signore.
Spazzatura, spazzatura, spazzatura del Signore.
Madre di Dio, Vergine, diventa femminista. Diventa femminista, diventa femminista. Inni in chiesa per leader marci, una crociata di nere limousine. Il prete viene oggi nella tua scuola. Vai in classe, portagli il denaro.
Il Patriarca crede in Putin. Quel cane dovrebbe piuttosto credere in Dio.
La cintura della Vergine Maria non impedisce le manifestazioni. La Vergine Maria è con noi manifestanti.
Madre di Dio, Vergine, caccia via Putin. Caccia via Putin! caccia via Putin!”

Non mi pare così scandalosa, anche se quelle sceme esaltate mi fanno cagare.

Volevo un gatto nero

venerdì 17 agosto 2012

Nocturno a mi barrio - Vinicio Capossela

State lontani dalla linea gialla

Stazione di Genova Brignole. Aspetto il regionale per una località di mare,dove trascorrere qualche ora di relax, che per me è la vera vacanza.Mordi e fuggi, ma più di tanto in un posto, se non ti porti la casa, non mi piace stare.Siamo in tanti, non una folla ma molti, in prevalenza giovani e donne.E' estate.Gli uomini, in treno, sono spesso pendolari.Non si lavora, di questi giorni.
" Treno in arrivo sul binario 12, state lontani dalla linea gialla".
Me ne tengo sempre almeno 50 cm indietro. Quando il treno arriva, mi dà fastidio il senso di risucchio della velocità, anche se rallenta. Non parliamo poi dei treni in transito. Blocco con le mani eventuali bagagli leggeri e chiudo gli occhi. 
C'è una giovane mamma, direi del centro-America con bambino sul passeggino proprio sulla linea gialla.Non lo ritira che di poco. Le ruote anteriori sono oltre la linea gialla, verso il treno. Il bambino non è assicurato con alcuna cintura, si alza, si sbraccia, si sporge in avanti. Nessuno lo guarda. Tutti altrove.
Madre in testa.
Non resisto.
" Lo tiri indietro! Si sta alzando in piedi. non è consapevole del pericolo. lo spostamento d'aria lo può trascinare sui binari o a battere la testa sul bordo di cemento!", nel medesimo istante penso che io avrei voltato perlomeno il passeggino dalla parte opposta, proteggendo il bambino dal risucchio o, molto probabilmente, visto che intanto ci saran tre metri, mi sarei spostata verso l'11. Raggiungere poi un predellino,al momento di salire, è un attimo.
Mi fa un mezzo sorriso, ma non agisce.Indolente.Uno sguardo docile e acquoso, che mi ricorda la barzelletta del bambino coperto di fango e la madre prolifica. Termina con: sarà più facile farne un altro che ripulire questo.Calca la mano una tipa con un borsone e un costume sotto i vestiti.
"Ah, il figlio è suo, se non ci arriva lei...fatti suoi!"
Salgo sul vagone.
Stando attenta che non sia né quello della docile mucca ma neppure quello della cinica bagnante.
Ne scelgo un terzo. Se c'è qualche stronzo, almeno non lo conosco ancora e poi potrei anche non fare tempo ad accorgermene.

giovedì 16 agosto 2012

150

50 sfumature di grigio.
50 sfumature di rosso.
50 sfumature di nero.
Fanno 150 sfumature di puttanate.
Mr Grey, da quel che so, dalla rete, preferirei spendere quei soldi in pomata per le emorroidi, è dominator, il vecchio affascinante ( mai visto in giro uno, quelli che vedo io  hanno la merlite e possono giusto gareggiare nel lancio della prostata. Si dice tanto delle donne che invecchiano prima, ma una donna è buona finché pissa, un uomo dopo i 40 sembra un nasone, una fontanella romana...).
No, è giovane. Giovane, ricco e sadico.
Lei, Ana, un nome un destino,tradotto in italiano Bucadellacula,invece è di quel genere bbello bbono, cà la slarga el bos basta che ci siano soldi in vista all'orizzonte.
Stop, il resto è per riempire i tomi e le tasche di una furba cicciona inguardabile.
Ma alle donne piace.
Mica  a tutte.
Alle ciornie che sognano portafogli, perché le sadomasochiste non sono quelle che si fanno legare i polsi o lo fanno a testa in giù come i pipistrelli, incatenate dal cattivone alla balaustra del primo piano della villetta. Quelle si esibirebbero in un repertorio da porno star o da casalinga coatta ( intanto è la stessa cosa), nel frattempo farebbero la lista della spesa e ripasserebbero mentalmente gli appuntamenti importanti della loro esistenza ( la ceretta, ad esempio). La sadomasochista sposa  un disoccupato,invece. E poi fa sesso estremo con la canna del gas all'ultima settimana del mese, ma non scappa via. Lo ama.
50 sfumature al verde, ma almeno non ha in testa 50 sfumature di marrone come le lettrici di questa caccapupù di trilogia.



Acqua azzurra


Acqua azzurra

Ferragosto.
Non c’è in giro nessuno.
Oddio, proprio nessuno, no, con questa crisi.
S’incontrano visi noti, in treno.
Ci si muove per diporto magari in zona. Si sfrutta la bellezza dei luoghi che si conoscono. Ansa del fiume non lontano da casa, dove ancora si possa fare il bagno. Villaggio di tre casupole ma con il ristorantino tipico. Spiaggia di mare nei dintorni, sabbia solita. Bosco in collina con radura. Vallata per il picnic. Ci si muove in direzione di una gelateria, una pizzeria, basta poco. Ci si accontenta.
Per l’occasione ho scelto il lago.
Soleggiato, fresco, azzurro.
Vedere le sponde dall’altra parte è rassicurante e scorgere l’isola e la rocca, una sorta di sogno possibile. Il fascino della fiaba. Chi vivrà in quella rocca sulla roccia? Molto verde, d’intorno.
Basta un po’ di foschia tuttavia e il verde si confonde con l’azzurro e ti senti miope, tutta questa certezza ( lago, sponde, confini, rive) non c’è più. Il lago sembra latte, la rocca uno spuntone sospeso nel nulla.
Oggi è una bella giornata tersa.
C’era un sole tale da rendere il fiorito lido lacustre una pacchia. Un mare bonsai, per amatori ma con un vago sentore di montagna.
Tutto dipinto di oleandri.
Il treno tocca ogni più piccolo borgo e i viaggiatori sono pochi. La maggioranza preferisce l’automobile. Qualcuno la corriera. Molti vanno su e giù per il lago in battello. Sul treno, in pratica, con borsa e zaino, ci sono soltanto io. Bene, mi godo il panorama dal finestrino, mi leggo un libro. Mi gusto la lentezza delle tante fermate.
Sale una ragazza in shorts e scarpette allacciate. Ha una canotta, uno zainetto nero. Porta una lunga treccia nera di lato. Mi si siede di fronte. E’ alta, di coscia molto lunga, un viso ovale, non bellissimo ma regolare, dai contorni puri. Vacanziera del lido, anche lei.
Ha la treccia bagnata.
Con i capelli così lunghi, il tempo di lasciarli asciugare non basta mai.
Anche con il sole di oggi. Duro.
Treccia bagnata, ma devo dire anche le scarpe, ha infangato un bel po’, salendo. I calzoncini sono zuppi. Cola l’acqua sul sedile dove ha posato lo zainetto nero.
Cara ragazza, sei esagerata, penso. Questa è mancanza di riguardo.
La canotta ha netto il segno del sudore. Tanto sudore.
Il viso è asciutto, anche le braccia. Si sono asciugate qui, alla brezza tiepida dei finestrini.
Mi guardi, sorridi. Hai le occhiaie e un colorito olivastro che mi fa pensare che quell’abbronzatura che sfoggi sia di lampada, perché non hai affatto una bella cera.
Metti una mano nello zaino, tiri fuori una bustina portadocumenti. Sì, bella mia, ma stai attenta. Dallo zaino saranno usciti due litri d’acqua! Sorridi, ti scusi, m’allunghi la busta.
“ Sono Lara Bottino, sono annegata oggi. Domani si parlerà di me. Porti questo a mia madre, Varallo Pombia. Fulvio mi ha spinta. Non è stato un incidente. Un litigio. E’ manesco, Fulvio. Eravamo sul sasun, noi due soli. Una cupola di roccia, nulla di più. Ci siamo saliti. Mi ha spinta di sotto. E’ geloso del Giacomo, ma l’ho soltanto baciato. Lo dica a mia madre: soltanto baciato”.
Mentre mi parli, giù acqua dalla bocca.
Mi riversi addosso tanta di quell’acqua che mi difendo con le mani.
Il treno ha uno scossone.
Sono sveglia.
Asciutta.
Il treno culla, sul treno si dorme volentieri. Peccato questa busta di pelle bagnata, in mano.


mercoledì 15 agosto 2012

Premaman

Ferragosto: l'unica festa riconosciuta in casa mia, dove anche il Natale era visto con un certo fastidio. Era "la festa" per eccellenza ( con il primo maggio). S'interrompeva il lavoro per l'unica settimana di ferie. Ferragosto sacro, diligente per l'intera giornata, ma almeno a cena sono andata...
Guardando la splendida folla ferragostana a cena, ho concluso che, al giorno d'oggi, si vestono da bagascie anche le donne incinte. Un tempo almeno in quel periodo c'era libertà di vestiti comodi e tacchi bassi. Ora mammette coatte dimenano il sedere come se volessero essere scritturate in un porno di genere,mentre agitano le braccine tatuate. Non amo lo stile acqua e sapone, ma così è troppo. Fa molto Porto Antico o travoni di lusso.


Pranzo di Ferragosto

martedì 14 agosto 2012

Proiettili da catapulta.

Considero buona parte delle donne dei proiettili da catapulta.
Hanno una capacità d'adattamento, di perpetuazione, di adesione ai  modelli da far paura. Sono macchine riproduttive di uomini, cose, pensieri, azioni.Abbracciano le ideologie con un fervore eroico quanto fanatico, non fanno il boia, ma lo sostengono a tricot, facendo la maglia alle esecuzioni. Perfette quando piangono ai funerali, quando s'agghindano per i matrimoni, quando si stringono alle puerpere con voci acute e birignao.Pilastri della religione rituale e bigotta,attente a tutte le mode e le variazioni di costume, spacciatrici di arti applicate che credono brillino per originalità. Avidissime misuratrici di sostanze e patrimoni. Succhiatrici di portafogli. Casse di risonanza del potere.
Leggo su un link di una ragazza palermitana che mette al mondo un figlio, spuntano tre papabili padri.Mi vien da dire ( sulla base di fatti così come sono superficialmente buttati lì, poi bisognerebbe vedere) : non siamo sul set di "Mamma mia", una puttana e tre coglioni, che si sono diligentemente presentati, ognuno a reclamare il bebé ed è finita in rissa. Una battuta. Qualcuno ci ride, salta fuori la solita suora dell'odierno pensiero, che della libertà sessuale ha capito meno di Sgarbi che in tv invitava a "rispettare le escort!"( se pagassero le tasse e i clienti fossero registrati come negli alberghi, lo farei, un po'...soltanto un po', almeno del sudor di culo avremmo tutti dei vantaggi) e fa: m'indigna che una donna si esprima così sulla sessualità di un'altra donna!!!
Insomma,mi ripeto, guardando alla cosa con superficialità, a 24 anni, se non hai in mente l'amore puro, fare un figlio perché desiderato ( sei giovane ma non sprovveduta), se non sei innamorata dell'unico uomo che vorresti per la tua vita, qualcosa di molto serio non va. E non va neppure in quei tre.
Una ragazza madre più timida e sola, sarebbe forse tornata a casa con un fardello tra le braccia e nessuno ad aspettarla, credo.
Che dire, alla tizia, che ha difeso un comportamento anomalo come un tempo avrebbe difeso la verginità ad oltranza? Si può spiegare che la libertà sessuale è ben altro? E' non dover sposare chi ti ha stuprato, è scegliere il proprio uomo, è amarlo anche al di là dei vincoli matrimoniali, è vivere un amore con disinteresse sennò amore non è.
Che dire, se non buttar lì: chi la difende è uguale.Puttana pure lei. Apriti cielo.
Qui non si tratta di quarantenni disilluse,di donne mature amareggiate, che a una storia ne fanno seguire un'altra o intrecciano evasioni sentimentali alla sofferenza di un rapporto sbagliato.
Qui si hanno 24 anni e una vita da sognare.
Sono rimasta vergine fino  a 22 anni.
Aspettavo un buon motivo per non spendere un corpo a vanvera.
Mai avrei dato la vita a caso.
Che dire? Le brave ragazze vanno in Paradiso, le cattive dappertutto,si dice... chi li scopa tutti uno  a casa lo tira, alla fin fine.
Non è vero che le brave ragazze vanno in Paradiso.
Per le brave ragazze è Purgatorio.
Anche quando s'adeguano a sculettare un po' anche a loro e la danno, per avere in cambio amore.
Chi s'innamora di una stronza, non vedrà alcuna luce negli occhi che aspettano.
Le donne sono, per la maggioranza, proiettili da catapulta. Gli uomini, esperti di balistica.



Scelte

Le alternative, in particolare quelle desiderabili, 


crescono solo su alberi immaginari.



Saul Bellow - Dangling Man, 1944

lunedì 13 agosto 2012

Monty Python - Silly Olympics

Dio delle lamiere

Incidenti stradali: ogni vacanza fa le sue vittime, chi perde qualcuno piange, gli altri toccano ferro, sperando che nessuno dei suoi sia vittima dell'olocausto alla divinità delle quattro ruote ( due, se in moto), sapendo bene che qualche sacrificio umano, di tanto in tanto, l'ha bisogno, così come in epoche passate si moriva di tetano usando il falcetto.Si ripete la storia di Isacco.Si spera che Dio fermi la mano che trancia la vita e la si chiede a un Dio che, abitualmente, lo fa di mestiere.Come chiedere la sfumatura alta al boia.


Gladiatori e criceti ( sulle Olimpiadi)

Berlino 1936. Gobbels convince Hitler che le Olimpiadi possano essere la dimostrazione che la razza ariana, l'allenamento militaresco 

( durissimo, vero sacrificio pervaso di guerresco spirito) nella Foresta Nera  possano essere utili alla "causa" e sancire la superiorità di un

 modello di pensiero.

Hitler 

costruisce uno dei più bei villaggi olimpici della storia. Roosevelt temporeggia, ma poi partecipa ( lo spirito olimpico...è lo spirito olimpico,

e poi nessuno vuole rinunciare all'esibizione dei suoi gladiatori). Dio ha un grande senso dell'umorismo,tuttavia.Butta tra i piedi di Hitler 

Owens, che è l'atleta più forte in assoluto ed è di colore. I giochi danno tuttavia ragione a Hitler, il medagliere tedesco è

 complessivamente 3 volte superiore a quello statunitense. Il Giappone fa sentire la sua forza. L'Italia già allora è brava a tirar calci a un

 pallone o a tirar di scherma. L'esibizione di potenza riesce. Gli USA daranno la biada a tutti i tre dell'Asse, appena possibile.Non sono mai

i Orazi e Curiazi a decidere i destini, ma il credo politico s'infiltra ovunque.Perché? Fisicità allenata e indottrinamento marciano spesso

 assieme.Entrambi piallano l'individualità nell'illusione opposta. Sembrano dimostrazioni di forza e potenza, sono invece l'equivalente

 dell'esibizione dei criceti su una ruota.






domenica 12 agosto 2012

Panem et Circenses

Giochi circensi internazionali terminati. Esuli sgambettanti reclamizzeranno abbigliamento sportivo, bevande, mutande.L'umanità festante di meriti non suoi, parlerà a vanvera di medaglie che nel cassetto non ha, indossando catenine bon ton e bigiotteria cinese.Orgoglio nazionale sarà chi ha mostrato qualche muscolo in più, ottenuto ammaestrando la scimmia che è in sé. Anche queste Olimpiate son terminate, non ne ho visto un solo minuto.
E non me ne dispiace affatto.
Per diverse giornate di fila sono state prese e mostrate ad esempio persone abili nel fare qualcosa di fisico socialmente inutile (  e fin qui, va bene), tuttavia additate come esempi, modelli di vita e riuscita per aver roteato un remo o tirato di scherma. Mi spiace, non sono né eroi né esempi, sono moderni gladiatori.Fisicità allenate  a superarsi per esibirsi in imprese senza alcun senso. Scienza, arte, tecnologia, letteratura, ringraziano.I lustrini e le tutine saranno sempre più popolari dei libri e dei laboratori,così come scaltrezza e prestanza più vistosi dell'intelligenza.



Walter Chiari Monologo in dialetto

La dimensione del viaggio

Non m'appartiene.
Per me la vita è stanziale.
Anche in un luogo nuovo non vado all'avventura, stabilisco coordinate, mi muovo con circospezione, mi creo abitudini.Il viaggio è per me l'attesa, l'apnea in cui raggiungere la meta o dalla stessa allontanarsi.Deve avere la dignità dell'adattamento,la comodità quanto basta per scavare una nicchia in un esistente temporaneo confortevole. Spesso una persona occupa il pensiero dello spostamento. Altre la meta è il luogo, fortemente connotato da caratteristiche morfologiche e urbanistiche che a vederlo si crei come un primo bacio, la stessa atmosfera.
Invece il viaggio è vita in sé, tanto che c'è chi lo prolunga.Chi sceglie mete lontane purché viaggio sia, intervallato da soste e, giunti sul luogo, null'altro che un punto fermo in un insieme di frasi.
Il viaggio è tempo. O meglio: una sospensione del tempo tra due vite.Quella lasciata alle spalle, quella da incontrare. In quel lasso non può succedere nulla, se non piccoli inconvenienti. La vita era, la vita sarà. Non è. L'assenza è riposante, ma può anche essere tedio,incertezza.
Il viaggio è allontanarsi da ciò che stringe, la vita s'allenta, da tener sotto controllo c'è una realtà aliena, che nulla ci chiede, rapisce un po' di curiosità.
Un viaggio in treno è indifferenza.
Il piacere di stare con altri esseri umani con cui non dover interagire, osservarli come placidi animali.Ognuno è tenuto a bada dal *suo* viaggio, intanto.
Ricordo una ragazza piangere, lungo un viaggio intero.Disperatamente, incessantemente. Andava a un funerale.
Per il resto: varia umanità. Di nessuno, nulla. Figurine di un presepe in eterno movimento. Bigliettini di richiesta d'aiuto,sui sedili dei regionali. Tossici nelle stazioni.Ragazzi che chiedono panini. Piccioni svolazzanti dentro Principe, a Genova, sui tavolini del bar.Squallore di certe periferie urbane. Porta Genova, Milano. Funzionalità del nuovo, Centrale, Milano, Termini, Roma.
Saluti. Abbracci. Io, serena con qualcuno. Io sulle spine, sola. 
Sulle spine della contingenza. In viaggio bisogna cavarsela con discreta disinvoltura.A casa, invece, vita e morte quotidiane. 
Casa è pretesa. La casa vuole, fosse anche la più disabitata.
La casa, chiede.
La si può ignorare e chiederle cortesemente di ospitarci, barboni del nostro, in un angolo della realtà ( non faccio nulla, mi lascio vivere, un rettangolo di letto mi piglia, c'è il bagno, sul tavolo del cibo).
La si può abbracciare e darle conforto, fino a sentirsene prigionieri e scappare, sempre con il desiderio di tornare se feriti, per il buio di una camera da letto, che diventi Ospedale dei sogni.


Philippe Daverio

Scrittura di getto

Scrittura estemporanea, appena me la sento inizio un romanzo a puntate sul web, scritto espresso, non revisionato e corretto e ogni giorno una puntata.

Peli in croce



Gestire la vita è facile.


Son quattro cose spelacchiate in croce.


                   Annoia, allora alla propria 


                   s'aggiunge quella altrui, per un comune tedio 


                   che chiamano socializzazione 


alla ricerca dell'anima gemella, che sola può complicare l'esistenza.

Il mio Principe Azzurro è morto, ma piuttosto di accontentarmi di uno stalliere, aspetto uno Zombie.



Horror vacui

Spesso si legge del "terrore della pagina bianca", tipico dello studente. Timore di non avere capacità commisurate al compito.Un attimo di titubanza può essere comprensibile, specie se l'argomento è ostico ed è oggetto di uno studio approssimativo, raffazzonato, inadeguato. Non comprendo invece quando sia lo scrittore a provarlo,viverlo, manifestarlo. Quando comunica al mondo... che gli occorre una seduta pensosa prima di superare l'impatto emozionante in senso negativo che dà la pagina bianca.Word immacolato che resta tale.Timore che un'idea vaghi solitaria su uno spazio troppo grande.
Sinceramente: che scrittore è?
Semmai è reale l'horror vacui.
La paura che non ci saranno mai spazi a sufficienza per dire, che le idee non si trovino orfane di lettori, che ci si dilunghi troppo nel raccontare e raccontarsi. Gli occhi si stipano d'immagini, il cuore di emozioni,la pelle di sensazioni. A seguire suoni, sapori...La vita travolge e stravolge ed è umanamente impossibile trattenere tutto ciò. E' un fiume in piena che non può diventare conversazione. Non si può aggredire nessuno ( ma neppure qualcuno ) facendolo parte integrante del vortice dirompente che prende da quando si aprono gli occhi al mattino e fatica a spegnerli  la sera. Io amo il silenzio, le parole misurate, la parola orale non mi si confà, se non in un'intimità ben circoscritta e ridotta all'osso di scarsissime frequentazioni. Il resto è chiasso. Fiato alle trombe. Ciancia. Detesto il pour parler. E' specchio di un perbenismo che deve vivere di facciata, per tamponare la solitudine senza concedere confidenza. Fatto di nulla, triste, di una tristezza meschina, composta di chiacchiere di corridoio, di gossip, di battute con la bocca piena. 
Il foglio bianco invece, ah, che consolazione.
S'imperla di parole fino a debordare.
Accoglie l'animo e lo distende.
Si fa ragione di vita.
Raccoglie le esperienze e le trasfigura.
Trasforma vicende banali in racconti e romanzi.
Dipinge storie eclatanti con colori brillanti.
Muta un dolore sordo e in fondo comune, come chi lo procura ( ti viene del male sempre dalla mediocrità), in qualcosa di estetico. Pura bellezza narrativa.
E' l'horror vacui, "il crampo dello scrittore".
La natura rifugge il vuoto.L'uomo lo teme, lo riempie di sé e poi marca il territorio.
La storia è  frenetica urbanizzazione del paesaggio.
Una casa vuota ci crea l'irrefrenabile desiderio di arredarla.
La pagina vuota raccoglie il nostro tumulto interiore.
Si riempie all'istante di ciò che dentro non può stare, è tanto, è troppo.
Lo scrittore è un arredatore vittoriano.
Diversamente, non sopravviverebbe  a se stesso.
Il foglio bianco è la casa della vita di Mario Praz.
Riempirlo è necessità, panacea per il male di vivere, autotrasfusione di beltade interiore.
Rifugio per il giorno, giaciglio per la notte.
Via dalla pazza folla.
Dentro una bolla di nobiltà creativa, ché non importa quanto sia modesta. E' sede di un pensiero ripulito della logistica espansione dell'Io, che porta a vivere tra gli altri, la meschinità che ti regalano a piene mani, se mancano di spessore.

sabato 11 agosto 2012

Agosto 2012

In un albergo qualsiasi...

La vedova Tirelli


Su facebook, sul quale è bene interagire poco, per non stabilire nefasti legami, così come in qualsiasi altro contesto non verificabile nell'immediatezza, ho scritto di essere vedova. E' uno stato che mi si addice. Il single  è un po' un cane bisognoso di  carezze, un randagio di poche pretese. Una vedova ha un caro estinto da visitare sotto qualche lastra di marmo o ce l'ha in casa sul comò. Il suo nome scolpito a sangue in fronte, sotto la frangia. Per l'occasione ho rispolverato un racconto di qualche anno fa:  "La vedova Tirelli". Aveva avuto un certo successo, fu cestinato all'ultima fase, sul fil di lana, di una specie di concorso in cui una mediocre e noiosissima scrittrice, che scrive in coppia con una specie di autrice fantasma, aizzava gli uni contro gli altri i partecipanti ad una sorta di contest in cui già si sapeva chi avrebbe vinto.Qualche amico suo.
Lo ripropongo, era divertente.

LA VEDOVA TIRELLI 
Certo che questo ha impiegato più tempo ad andarsene. 
Non beveva, non fumava, Tirelli, era un orologio svizzero 
nelle abitudini…eppure è lì, disteso in una bara foderata di 
raso tinta champagne. Dritto all’altro mondo in Caraceni,con 
la cravatta Marinella. Quasi bello, con il viso ben truccato 
dagli esperti in cari estinti, sicuramente tra i migliori incontrati in decenni d’onorata carriera vedovile. Il morto è il settimo marito, italiano, come il primo, del resto, duecento 
anni fa, anche se la storia fu molto diversa. 
Allora ero una damina tutta svenevolezze, altri tempi! Il mio 
sposo era un signorotto che mi aveva acquistato come una 
vacca al mercato del bestiame e mio padre s’era liberato 
volentieri di una ragazza fragile, una bambola incapace, vezzeggiata dalle fantesche, figlia unica di madre morta giovane e 
sepolta, dove fiorivano gardenie. 
A quei tempi andavo a sedermi sul prato accanto alla tomba 
d’Ermengarda, infatti, chiedendomi come si potesse morir di 92  
parto con delle gote così rosse e floride, come apparivano 
nel gran ritratto sopra la mensola del camino, i cui occhi mi 
seguivano con movimenti impercettibili da uno sguardo disattento. Io invece n’ero consapevole, sapevo che mia madre 
aveva il controllo d’ogni mio passo reale e virtuale. Quando 
rimasi incinta di mio marito, anziano ma sano e vorace di 
bellezze, il medico fu onesto e chiaro: ha fianchi così stretti 
che non sopravviverà al parto. Condannata, come mia madre. Eraldo restò cupo alcuni giorni, poi trovò distrazione 
tra le braccia della mia cameriera personale, florida ragazza 
di campagna, appetitosa,ben propensa a consolarlo di una 
vedovanza annunciata. A me risultava gravoso muovermi, 
pesante, di stanza in stanza, sotto lo sguardo vigile e triste di 
mia madre, da cui avevo ereditato uguale fragilità. Al sesto 
mese mio figlio nacque in anticipo, morto e nella stessa notte si spense Eraldo, che un colpo apoplettico portò via, mentre la serva urlava nuda, correndo per le scale. Le era morto 
addosso in un rantolo d’orgasmo e dolore. Piansi tutte le 
mie lacrime, ma il giorno in cui riuscii nuovamente a guardarmi allo specchio ero sola, ricca, e, cosa strana, con un 
volto che non mostrava il minimo segno di stanchezza, come 
se fosse immobile in un perenne ritratto di ventenne, nel 
mentre mia madre riprendeva fiera a fissare il salone dalla
mensola del caminetto. 
Passarono vent’anni ed io restavo tale e quale, passeggiando 
fra tre tombe, nel mentre le gardenie fiorivano, sempre più 
belle. Quando tentai di tagliarmi le vene, ne uscì un vago 
profumo di gardenia. Ero immortale, come il ritratto che 
imperioso dominava casa. 
Cominciai a viaggiare e ripresi a vivere, per il mondo. Nuovi 
Paesi, amori e vedovanze. Nuovi Paesi, stesse morti e grandi 
patrimoni contribuirono a rendere cospicuo il mio. 
Mi aggiusto la riga sulle calze, perché disegni il polpaccio. 
Sistemo la gonna, affinché lo spacco centri la falcata decisa 
sugli esili tacchi. Indosso il pullover accollato, grigio perla, 
ché il lutto intero è poco elegante, indosso giacca e cappello 
con veletta e fingo di baciare il caro estinto, che qui mi ha 
riportato, sotto il mio campanile. Lo accompagnerò alla chiesa dove si celebrarono matrimoni e funerali antichi. Mi siederò nei banchi dove sedette mia madre, giovane sposa dalle 
guance rosa. Sono stanca. La mia immortalità mi obbliga a 
tenere il conto meticoloso di troppe morti, ed è inutile che 
ci si dibatta per evitare la sua falce. Io vedo nell’occhio, che 
scoppia di desiderio e salute, già la palpebra socchiusa sullo 
sguardo vitreo ed ognuno mi  pare già nient’altro che un 
morto, quale dovrà essere fin dal giorno in cui mi mostra 
tutta la sua caduca virilità. Sono ragioniera della morte. 
- Contessa, che piacere rivederla! 
E' Giussani, commercialista. Gli fa gola il mio patrimonio e 
forse non è indifferente al bordo di pizzo dell’autoreggente 
che occhieggia appena dallo spacco. Mi fissa, ma non in viso, 
non credo sappia neppure di che colore io abbia gli occhi, 
perché è certo che guarda le tette, è così da duecento anni 
in qua. Nessuno ascolta le mie parole, se il petto respira con 
movimento ritmico, alzando ed abbassando seta o lana. Lì 
guardano, tutti. Affondano già la testa, con la mente, tra i 
miei seni. 
Tutti tranne Marcel. 
Ah, Marcel, il giardiniere… 
Invano pensai di intrecciare il tuo destino al mio, chiedendoti 
di volgere uno sguardo fiducioso al gran ritratto di sì mirabile madre, per scongiurarla di abbracciare la mia figura e la 
tua in un unico destino. Marcel, re di gardenie. Non mi amasti Marcel, invaghito dello stalliere. Piansi, accasciata sul tappeto, nel salone del camino e una carrozza ti travolse, lì sul 
viale di casa. 
- Giussani, mio caro! 
Lo attraggo a me, perché senta il profumo di gardenia. 
Lui aspira, serra gli occhi e li riapre senza fissarmi in volto e 
sosta premendo un attimo sul petto di questa giovane vedova, così ricca, così sola, così bella. 
- Contessa, conti su di me per ogni necessità pratica… 
- Conterò, caro Giussani, terrò conto, anche di Lei. 



Fenomeno rete

La rete è pericolosa, si dice spesso.L'immaginario da fiction è spesso popolato di omicidi che hanno preso il via da incontri ambigui organizzati in chat, poi scopri che buona parte dei tuoi conoscenti ( amici è una parola grossa, l'amicizia è una condizione fasulla, per amicizia s'intende una rarissima situazione di condivisione , in bene e in male, assai stabile nel tempo) si è conosciuta tramite un forum , attraverso il blog e si è messa insieme, convivenza lampo, matrimoni, tempestose infedeltà coniugali fatte di lacrime e sangue e chilometri ...Insomma: grandi amori sono nati dalla rete, ma anche tante sviste. Affinità inesistenti, basate sullo scambio di poche battute, la lettura comune di un romanzo, foto poco veritiere, una lunghezza d'onda percepita simile ma illusoria. Di fatto, obiettivi diversi. Chi cerca una pergamena da vergare, chi la carta per farsi una cicca. E ci si ritrova a far su tabacco pessimo, essendo carta profilata oro zecchino.


Alla fin fine...

Come me non c'è nessuna.

 Voglio qualcuno che come lui non c'è nessuno.

Tutto il resto può andarsene affanculo.

 Non ho altri interessi.



venerdì 10 agosto 2012

Amare un Kebab ( del figlio di mamma)

I padri che si sostituiscono ai figli, li castrano.Le madri che proteggono i figli da padri soverchianti, insegnano loro una ribellione femminile.Bizzosa e inconcludente.E se incontri un uomo così, è come stare con un kebab.Una pietanzona di montone.Dolciastro ma per debolezza e non per bontà d'animo.Incapace di proteggerti, in fondo sei la proiezione di mamma.Attaccato al sesso: è l'unico modo per dimostrare a un padre che temono che sanno fottere anche loro.Femminilmente invidioso della tua entità femminile, critico sulle qualità, isterico nel sottolineare i difetti.Non ama nessuno.Ama il riflesso di sé negli occhi di mamma, che non sopportando un uomo prepotente, se n'è fatta uno molle per sé.Un narciso da crescere nella paura di vivere, perché non si stacchi da lei.E mai lo farà,se non perché ha individuato un'altra mamma, che sognerà poi di tradire con una fidanzata che non rompa troppo i coglioni.
Le madri generano mostri, perfette macchine d'autoconservazione.I padri gongolano se i figli sono loro inferiori, restano capobranco.
Fatemi un piacere signore, evitate di riprodurvi o...speriamo che sia femmina.
In alternativa, sbatteteli fuori casa per tempo e fatevi un amante, così non avete bisogno di trasformare un figlio maschio nel marito affettuoso che non avete mai avuto.