sabato 18 agosto 2012

Caro, estinguiti.


Caro, estinguiti.

Tutti i giorni al cimitero.
In fila tra le vedove al botteghino dei fiori, un piccolo chiostro in muratura, con una vetrata posta a semicerchio dall’aspetto vagamente liberty. Chi per le rose, chi per le dalie, ai Santi i crisantemi…Qualcuna persa dietro rami di orchidee pallide.
Ogni mese tuttavia se ne perdeva qualcuna per strada. Alcune vedove diradavano le visite, perché il lutto si vive assai bene anche a casa, tra le mura domestiche. Altre morivano, a loro volta, anziane. Alcune si risposavano, magari un vedovo, a forza d’incontrarsi nei paraggi delle tombe.Mutava il parco vedove. Se ne aggiungevano altre, pallide e smagrite o di quell’obesità cattiva, grigiastra, fatta di cibo consolatore.
Maria Eugenia resisteva imperterrita a visitare il luogo di sepoltura dell’unico grande amore della sua vita, incontrato dopo alcune vicissitudini sentimentali. C’è tuttavia un Dio dei cuori infranti, li avvicina, li mette in comunione, fa sposare il dispiacere alla compagnia e questa alla rinascita.
Maria Eugenia e Giacomo erano insieme rifioriti, raccolti i pezzi delle illusioni precedenti e gettati alle spalle come coriandoli o il soldino che si butta a Trevi per tornarci. La differenza è che nessuno dei due voleva tornare alla disperazione precedente. Guardavano bene avanti e nella stessa direzione, tenendo cuore e sensi al caldo l’una dell’altro. Quando si dice un incontro indovinato.
La morte tuttavia sta in agguato, carpisce i disattenti e troppa birra e colesterolo a pacchi portarono Giacomo nell’aldilà, lasciando Maria Eugenia all’al di qua.
Disperazione integrale. Voglia di morire.
Chi muore giace, chi vive si dà pace, si dice. Bene, non è così, pace per lei su questa Terra non ce n’era. Giorno e notte un magma rovente di sofferenza.
Dialoghi con la sua lapide, con Dio e con se stessa.
“Mio Dio perché non hai preso anche me?”
“Buon Dio perché me l’hai fatto incontrare, per poi togliermelo e soffrire?”
“Dio mio ridammelo, anche soltanto un’ora!”
“ Che cosa non farei per riaverlo vicino a me!”
Così ogni giorno, con qualsiasi tempo, nell’andirivieni al cimitero.
Dio è misericordioso. Ascolta chi soffre.
Maria Eugenia stava guardando una fiction alla tv, di malavoglia, giusto aspettando l’ora di andare a letto, che sentì suonare il citofono.
“Chi è?”
“Io”.
“ Non faccia lo sciocco. Soltanto una persona al mondo potrebbe rispondermi così e quella persona non c’è più”.
“ Tesoro mio, sono Giacomo. Credimi, sono proprio io. Dio ti ha esaudita.”
La sua voce! LA SUA VOCE! Calda, pastosa, sempre quella. Dolce, rassicurante, maschia. Era lui, era tornato.
Corse ad aprire la porta, sarebbe arrivato in ascensore.
Aprì la porta restando sulla soglia.
Giacomo uscì dalla cabina. Sì, era lui. Esattamente lui, nello stesso abito blu del matrimonio macchiato color pus rappreso. Non odorava neppure più di marcio, semmai di stantio come la carne secca. Non entrava in casa tuttavia. Era basita. Del volto, soltanto più o meno la metà. Il resto accartocciato, mangiato, consumato dalla lebbra del tempo e della decomposizione. Vomitò.
“ Non far così, Eugenia. Sono pur sempre io. Ascolta la mia voce. Abbracciami”.
No, abbracciarlo, no. Giacomo aveva capito, indietreggiando tristemente.
“Entra”, disse lei riprendendosi e mostrando infine la sua cortesia.
“Un attimo, recupero il dito che è rimasto incastrato nel pulsante”.
Aveva perso un dito.
Non solo, camminando gli si era staccato un piede. Aveva un solo padiglione auricolare.
 L’ aspetto era rabberciato ed incompiuto e i denti sembravano enormi, nella mandibola nuda.
Giacomo raccattò il dito ed entrò in casa. Corse ( si fa per dire), verso la sua poltrona e si piazzò.
“Ah, come si sta bene”.
Sulla poltrona si sparsero in un attimo strane e repellenti bestioline nere e pelose, che lui guardò quasi con affetto e lei svelta risucchiò nel bidoncino aspirante.
“Vedo che bevi ancora il porto”, disse lui indicando la bottiglia che prese tra le mani, ma non seppe trattenere e quella andò in frantumi, sul cotto del salotto.
“ Quanto pensi di restare?”, disse lei
“Be’, per sempre…”, rispose lui.
“ Ma sei uno zombie!” disse lei molto irritata.
“ E che volevi che Dio ti mandasse, un ventenne?”, ribatté lui un po’ seccato.
“ Io veramente pensavo ad un fantasma!”, chiarì lei con impeto.
“ Certo, come no, Ghost, e si fa insieme il vaso di ceramica!” Così dicendo si mise a ridere, a sghignazzare talmente che la lingua gli cadde sulle ginocchia.
“Che schifo!”, fece lei.
“Ecco, sempre la solita stronza, figurati se non aveva qualcosa per cui lamentarsi. Piangeva, mi voleva, si disperava, lei! E adesso che sono arrivato, sono rifiutato!”
“ Ma perdi i pezzi!”
Maria Eugenia era incazzata nera, quel lurido cadavere gli stava imbrattando apposta il tappeto.
Se lo fosse ripreso, il buon Dio, quell’elemento. Era il solito stronzo,faceva tutto per dispetto.
“Vattene, sei morto!”, fece lei agitando un crocefisso.
“ Mi hai preso per un vampiro, scema di guerra?”, disse Giacomo con una certa stizza.
Passò in quel momento il gatto, com’è come non è, con un guizzo imprevedibile lui lo afferrò e lo mangiò. Crudo,sbranandolo alla bell’e meglio.
“Bbono”, concluse, con un rutto.
A questo punto Eugenia, rattristata ma anche rinvigorita per la perdita del micio, lo prese a scopate. Gliene diede tante ma tante da ridurlo in brandelli e racchiuderlo in un sacco dell’umido.
“ Ti porterò al parroco, saprà lui come fare, con te”.
Lo mise così nel congelatore aspettando che Don Angelo aprisse bottega.



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