domenica 12 agosto 2012

La dimensione del viaggio

Non m'appartiene.
Per me la vita è stanziale.
Anche in un luogo nuovo non vado all'avventura, stabilisco coordinate, mi muovo con circospezione, mi creo abitudini.Il viaggio è per me l'attesa, l'apnea in cui raggiungere la meta o dalla stessa allontanarsi.Deve avere la dignità dell'adattamento,la comodità quanto basta per scavare una nicchia in un esistente temporaneo confortevole. Spesso una persona occupa il pensiero dello spostamento. Altre la meta è il luogo, fortemente connotato da caratteristiche morfologiche e urbanistiche che a vederlo si crei come un primo bacio, la stessa atmosfera.
Invece il viaggio è vita in sé, tanto che c'è chi lo prolunga.Chi sceglie mete lontane purché viaggio sia, intervallato da soste e, giunti sul luogo, null'altro che un punto fermo in un insieme di frasi.
Il viaggio è tempo. O meglio: una sospensione del tempo tra due vite.Quella lasciata alle spalle, quella da incontrare. In quel lasso non può succedere nulla, se non piccoli inconvenienti. La vita era, la vita sarà. Non è. L'assenza è riposante, ma può anche essere tedio,incertezza.
Il viaggio è allontanarsi da ciò che stringe, la vita s'allenta, da tener sotto controllo c'è una realtà aliena, che nulla ci chiede, rapisce un po' di curiosità.
Un viaggio in treno è indifferenza.
Il piacere di stare con altri esseri umani con cui non dover interagire, osservarli come placidi animali.Ognuno è tenuto a bada dal *suo* viaggio, intanto.
Ricordo una ragazza piangere, lungo un viaggio intero.Disperatamente, incessantemente. Andava a un funerale.
Per il resto: varia umanità. Di nessuno, nulla. Figurine di un presepe in eterno movimento. Bigliettini di richiesta d'aiuto,sui sedili dei regionali. Tossici nelle stazioni.Ragazzi che chiedono panini. Piccioni svolazzanti dentro Principe, a Genova, sui tavolini del bar.Squallore di certe periferie urbane. Porta Genova, Milano. Funzionalità del nuovo, Centrale, Milano, Termini, Roma.
Saluti. Abbracci. Io, serena con qualcuno. Io sulle spine, sola. 
Sulle spine della contingenza. In viaggio bisogna cavarsela con discreta disinvoltura.A casa, invece, vita e morte quotidiane. 
Casa è pretesa. La casa vuole, fosse anche la più disabitata.
La casa, chiede.
La si può ignorare e chiederle cortesemente di ospitarci, barboni del nostro, in un angolo della realtà ( non faccio nulla, mi lascio vivere, un rettangolo di letto mi piglia, c'è il bagno, sul tavolo del cibo).
La si può abbracciare e darle conforto, fino a sentirsene prigionieri e scappare, sempre con il desiderio di tornare se feriti, per il buio di una camera da letto, che diventi Ospedale dei sogni.


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