domenica 22 luglio 2012

La direzione delle nuvole.



La direzione delle nuvole.

Lei scriveva da una cameretta che aveva conservato le sue caratteristiche fanciullesche. Troppo rosa. Nelle tendine ai vetri, nei pupazzi seduti tutti in fila su una mensola ( uno era rosa anch’esso, un coniglietto con un grembiulino a quadrettini), nelle bambole sedute su una poltroncina che non usava mai. Aveva in camera due poltroncine gemelle, tappezzate di minuti fiorellini rosa antico. Su una di esse: bambole di porcellana con i capelli a boccoli, sull’altra il gatto. Un grosso gatto rosso, tigrato e indifferente, pigro. Alle pareti una tappezzeria di stoffa: rose di macchia. A terra un tappeto moderno a riquadri lilla e violetti.
Lui scriveva dal suo studiolo, ricavato tramezzando la camera del figlio. Una scrivania, un computer, uno scaffale per archiviare scartoffie, modellini realizzati tempo prima, quando ancora si dilettava di soldatini in miniatura di varie epoche storiche, il plastico della battaglia di Marengo, un veliero in bottiglia. Un trofeo di calcetto, una foto di Pantani autografata e sorridente.
L’appuntamento era ogni sera intorno alle 21.00.
Chattavano, dapprima. Serate che svanivano in un soffio a raccontarsi. Non tanto del presente, quanto del passato. Avevano amato gli stessi cartoni, mangiato le stesse merendine, indossato a viva forza cuffie di lana ,confezionate da nonne solerti , che facevano prudere la fronte fino a tirarsele via di testa e restare spettinati e furenti, rossi in viso e infreddoliti poco dopo averle tolte. Tanto da ricacciarsele in testa.
Avevano amato la stessa musica, balsamo per l’animo dopo una delusione d’amore.
Avevano avuto la stessa marca di  motorino.
Avevano visto il mare per la prima volta a sette anni compiuti, in una gita ai centri estivi. Lei, figlia di fruttivendolo. Lui, figlio di un ciclista. Cresciuti in cortile, entrambi avevano giocato a nascondino in cantina, al gioco della bottiglia e avevano rubato le sigarette a mamma e papà.
Il tempo era trascorso. Tanto da metterli a scriversi, per ore ed ore, davanti a un pc.
Si erano spediti le prime foto per Natale.
Lui bruno, lei bionda.
“Carino - pensò lei – un sorriso neanche poi così sfrontato”, nonostante la posa da duro, il ciuffo scomposto, la birra sul tavolo.
“ Bellina - pensò lui – ha gli occhi azzurri e grandi, ma non se la tira per niente, sembra una ragazza semplice”. Così pareva, bella, ma in una posa un po’ statica, sorriso abbozzato, mani sul grembo.
L’appuntamento alle 21.00 non bastò più.
Ben presto a lui venne voglia di verificare sullo smartphone se c’era una sua email.
In lei nacque il desiderio di mandargli il primo saluto del mattino e l’ultimo della sera.
S’intrecciava fitta, la corrispondenza ad ogni ora del giorno e anche della notte, se uno dei due era sveglio.
Avvertivano, l’una dell’altro, l’insoddisfazione, la mestizia di una vita un po’ deludente, ma trapelava poco del vissuto. Sì, accenni al lavoro, da parte di lui. Un mestiere insoddisfacente, scelto più per caso che per volontà. Lei studiava, fuori corso da una vita. Problemi di famiglia e salute, aveva giustificato così la situazione.
A gennaio, un’altra foto, più audace.
Sì, era proprio bello, muscoloso anche se non palestrato.
Sì, era bella ma modesta, il seno bianco e la mollezza di un corpo procace ma pudico.
E poi le telefonate, strappate, rubate, ad ogni ora del giorno o della notte ai pasti e al sonno.
Così per una primavera intera, in cui fiorivano le stanze.
La cameretta rosa fluttuava tra i rampicanti, si riempiva di glicine di pensieri, si tingeva di verde speranza.
Lo studiolo era una rampa di lancio verso la conquista. Un’altra donna, un’altra vita, una fuga.
Non abitavano poi tanto lontani, due ore di treno, una e mezza d’auto.

Titubanti. Incerti. Indecisi.
Ho qualcosa da farmi perdonare, diceva lui.
Non sono quella che credi, ribatteva lei.
Non penso che a te, sosteneva lui.
Sei la mia vita, concluse lei, senza di te è finita, è un’altra rosa di macchia sulla tappezzeria.
Vediamoci. Si fece pressante lui.
Te ne pentirai, rispose lei, ma oramai il desiderio di starti vicina anche soltanto un po’ supera la paura.

Alessio si preparò. Lacoste bianca, jeans blu navy. Nike nuove.
La vera nuziale nel cassetto.
“ Le dirò poi, che sono sposato e lei non mi capisce. O le mie serate non sarebbero al pc. Sarà un’avventura, ma da ricordare, niente che potrà far male”.
Oramai era estate.
Lei indossò un abito rosa, che poi tolse. "Voglio qualcosa di meno lezioso- pensò -esco dal guscio”.
Appuntamento a Piazza Verdi, vicino all’edicola. L’avrebbe portata Carmela, un’amica, che fino all’ultimo le aveva detto: “Ma sei sicura? Sicura, sicura, sicura?”
Sicura. Sicura come la rosa che sa che se non sarà colta in ogni caso morirà.
Arrivò presto. Si piazzò in un punto in cui si poteva osservare il cielo e il passaggio delle nuvole. Se ne fissi una, capisci la sua lenta inesorabile direzione e t’accorgi se oscurerà il sole. Alice aspettava così, indovinando percorsi di nuvole vaganti.

Lui arrivò, dritti gli occhi verso l’edicola. Non c’era nessuno, s’innervosì.
O forse, no. Davanti ad una ragazza bruna, un po’ massiccia, c’era una sedia a rotelle. Sopra, una ragazza bionda, esile, con un abitino blu e gli occhi probabilmente azzurri.
Sentì un brivido freddo correre lungo la schiena, si era preparato un lungo discorso sulla relazione oramai finita con la moglie ( quella, totalmente ignara, forse un po’ disattenta, troppo “presa” dai figli per accorgersi della tresca fino a quel momento innocente.), per trovarsi una …una…

Paraplegica.
Se n’andò.

“Sono paraplegica dall’estate scorsa, Alessio, il brutto incidente di cui ti avevo parlato. Non ne sono uscita illesa, ti ho mentito, ma illesa uscirò da questa storia, anche se non sei venuto o forse c’eri, ma ti sei guardato bene dal farti vedere. Ne uscirò integra perché mi hai in ogni modo regalato mesi d’amore, d’illusione, di sogno e di follia. Credevo di non esserne più capace. Grazie di tutto”.

“Sono un vigliacco. Vigliacco e sposato, ma ti ringrazio, mi hai fatto capire d’essere meno infelice di ciò che credevo. Mi hai preso alla sprovvista, posso rivederti e offrirti un gelato?”

“No, sarebbe pietà”.

“Mi mancano i tuoi messaggi del buon mattino e della buona notte”.

“Ricominciamo?”

Ogni sera, alle 21.00, mentre Alba mette a letto i bambini, Alessio e Alice chattano.

E varcano i confini del possibile.





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