venerdì 20 luglio 2012

Rosso Pomodoro

In omaggio, un racconto  noir.


Rosso Pomodoro

-         Anche questa è stata trovata morta, nel suo sangue,riversa sulla panchina su cui stava seduta, sfogliando una rivista, ottantenne,robusta, capello grigio corto, una canotta azzurrina e una gonna di cotone blu, ciabatte ai piedi…Nella borsetta c’era il portafogli, al collo aveva catenina e medaglione, non le è stato rubato nulla. Non di visibile, perlomeno. Al collo aveva un orologio di plastica. E’ pensionata. Pare che non se la passi bene. Sta al quartiere di Ripetta, in affitto. Le hanno dato una mazzata secca in testa, lì dov’era, ai giardinetti sotto casa, non passa nessuno a quell’ora. Gli anziani soffrono d’insonnia, vanno a far spesa, quando i supermercati aprono, sono già in giro presto, spesso. Pare morta dalle sei del mattino…
Fiorilli parlava infastidito al telefono, con un collega. Desolato, sinceramente dispiaciuto, oltre l’ovvia compartecipazione professionale. L’omicidio era assolutamente gratuito. Nel farlo tracciava segni su un foglio, ghirigori, senza senso.
Era una povera vecchia, soltanto una povera vecchia.
Non faceva del male a nessuno, non aveva beni particolari addosso. Soltanto a guardarla si capiva che non c’era nulla da estorcere o da rubare, tra ciò che aveva.
E non era la sola.
Altri due omicidi avevano lo stesso stampo.
Due donne anziane, poco abbienti, a distanza di un mese l’una dall’altra.
A Pandella avevano ammazzato una donna più o meno della stessa età, di taglia robusta ma piuttosto male in arnese, malferma sulle gambe, che indossava un lungo vestito di maglina e i gambaletti color carne. Dei sandali ortopedici più vecchi di lei. Aveva ancora il grembiule intorno alla vita, quando aveva aperto la porta e aveva fatto entrare nell’atrio il suo assassino. In casa, le solite cose: soprammobili, quadri di scarso pregio, pochi soldi nel barattolo del caffè, tre anelli d’oro in un portagioie, una collana di grani d’avorio.
Un paio di colpi sulla nuca bene assestati. Schizzi sulle pareti del corridoio.
A Romito l’anziana signora invece era stata colpita, mentre stava portando i sacchi della spazzatura alla rotonda dei cassonetti. Era stesa nella sua stessa immondizia, sparso il contenuto dei sacchi nella caduta intorno a sé. La collanina di perle di fiume era al suo posto, intorno al collo. L’avevano trovata i vicini, a faccia in giù nel pattume, una pantofola ai piedi e l’altra perduta, la faccia disfatta in una maschera di sangue, era caduta in avanti.
Fiorilli accostò le foto. Doveva esserci un tratto comune. Tutte ammazzate all’improvviso, senza troppi preamboli e tutte e tre con un colpo netto inferto in testa, dall’alto verso il basso e da una persona forte. Fisicamente abbastanza alta e robusta. Decisa.
L’assassino sembrava aver usato una corta pala da giardinaggio, di quelle pieghevoli. Si scorgevano dei segni netti, i lembi delle ferite combaciavano in una geometria perfetta. Segmenti di retta.
Le donne si assomigliavano.
Tutte le vittime erano anziane, con un aspetto ordinario, un vestiario molto semplice ma pulito. Tutte probabilmente un tempo brune ed ora con i capelli grigi, piuttosto grosse di corporatura. Simili…
Donne come in Italia, ce ne sono tante. Tratti mediterranei molto comuni.
Delle povere donne, delle povere nonne!
Ognuna aveva la foto del proprio nipotino, nella bustina portadocumenti.
Chi un nipotino piccino, bambino.
Chi un adolescente in una posa da bullo.
Chi un ragazzino buono, pettinato all’antica e fotografato a scuola.
Nonne che si adoperavano regolarmente per aiutar figlie e nuore.
Una foto e un disegno infantile piegato in quattro o in due, messo in borsa quasi prima di uscire o forse dal nipote stesso.
Borse più o meno tutte uguali. Pellame consunto o finta pelle, cineserie. Dentro, le solite cianfrusaglie.
Diede un’occhiata agli strazianti reperti. Povere cose…
Miseri oggetti da borsetta: chiavi, fazzoletti di carta e di cotone, un rosario, dei cerotti, un portapillole, lo scontrino del supermercato, caramelline, un santino, una borsa da shopping ben piegata a triangolo.
Dispiegò i disegni, li spianò con un gesto gentile, con la mano, di piatto.
E osservò.
Stranamente i disegni erano tutti recenti, sembravano realizzati da una mano unica, il tratto infantile ma non troppo.
Anche il soggetto raffigurato li univa.
C’erano bambini al mare. Un bambino era in spiaggia con paletta e secchiello, un altro era su una barca e uno imbracciava persino un fucile da sub e lo mostrava ad altri bambini. Tutti i soggetti erano coloratissimi negli abiti e nei tratti e con la loro bibita frizzante in mano in primo piano.
Su tutti, una scritta:…”ciao nonna, finalmente vado al mare!”.
O come didascalia o era un fumetto, disegnato accanto alla bocca dei bambini.
In casa sua, Ludovico, disabile adulto, rintanato al buio, stava chiuso nello sgabuzzino, mentre nonna, in cucina, passava pazientemente i pomodori.
-         Faremo tanta salsa, tesoro! Mamma e papà sono via e con chi resta Ludobello d’estate? Con nonnaaa. Così da sempre, amore. Anche ora che non ci sono più, sono via per sempre, in cielo… ma nonna c’è, nonna c’è sempre. Quando Ludobello darà una mano a nonna, allora potrà uscire e avrà la sua bibita. Non tolta dal frigo, come la bevono gli insensati. A temperatura ambiente, così non fa la bua al pancino.Sennò Lubobello resta in punizione. Fatta la salsa e la marmellata con tutte le susine che ci ha portato zia Lucia, allora potrà uscire un po’ e comprare le medicine a nonna, ma non deve impiegare troppo tempo. Si può sapere dove vai? Boh! Te ne sei stato fuori un po’ troppo, le volte scorse! Se lo farai ancora, Ludobello, starai in ginocchio a pregare davanti alla foto di nonno fino a notte fonda. E a proposito di nonno, caro, sabato mattina andremo al cimitero, a mettere a posto la siepe. Ci facciamo prestare la pala dal custode, ché la zappetta non basta più. Voglio piantare il pitosforo.Un bel cespuglio di pitosforo. Tu vanghi e io pianto. Me la dai una mano, Ludobello?La dai una mano a nonna?Eh, la dai?
Nonna Iva passava diligentemente i pomodori e colava nelle bottiglie la buona conserva per l’inverno, così appetitosa nel sugo. Ludovico ne mangiava tantissima. Nella pasta, sul riso, con la carne e il formaggio ma più spesso con il pane. La mangiava a pranzo e a cena, la pensione di nonna e la sua d’invalidità non permettevano molto altro. Mangiava pasta al pomodoro e beveva the freddo, preparato da nonna, in casa. Erano i costituenti del suo pasto quotidiano, tutto l’anno. Niente di gasato, fa male. Nonna Iva faceva economia, ma teneva alla salute.
Sì, non era più giovane ( e lo sguardo le andava alla foto sulla credenza, in cui era florida e bruna), ma aveva in sé molta forza e la capacità di risparmiare e di fare, per quel nipote buono e scioccone, sempre il meglio, anche per educarlo e non c’era metodo migliore dello sgabuzzino buio, del quale Ludovico aveva sempre avuto paura.
A che serve, in fondo, una nonna? A nutrire e a insegnare la buona creanza.
Pensando tutto ciò, si lisciava i fianchi grassi con le mani, pulendole nel grembiule.
Poi s’abbassava, a sistemare l’elastico dei gambaletti.
Non importa essere poveri, si diceva, basta essere giudiziosi.

Nessun commento:

Posta un commento