mercoledì 4 luglio 2012

Un mal di testa da Zeus - 2


Ci sono fasi in cui la creatura osserva il Creatore. Così tu per me, Amedeo. Non hai trovato nulla da ridire sulla mia pigrizia.Ignavia. E  mica va bene. Avevi lo scopo preciso di guidarmi, rigenerarmi, regalarmi la riscoperta del quotidiano, invece hai assistito imperturbabile allo sfascio, sfogliando con me tutte le foto. Sì, sono suggestive, pittoresche. Vera vacanza, suvvia, si chiama così quando i pensieri restano bene impacchettati a casa. Ma che cos'è una casa? Un luogo dell'affetto rimescolato e servito caldo oppure almeno tiepido e non la mensola su cui riporre tutti i ricordi. Una mensola sopra alla finestra dalla quale si assiste alla vita degli altri, per la quale il disinteresse è totale,così che non ti ho dato la punta del cornetto e per un attimo sei tornato quello con l'occhio pittato e la bombetta. Cattivo, cattivo.
Patteggiando ti chiedo: mi faresti un caffè?Un vero caffè laborioso, svitando con cura una caffettiera ben lavata,prendendo il barattolo del decaffeinato, dosandolo con il cucchiaino in gesti misurati e sapienti. Riavvitando, ponendo la macchinetta sul fornello e sapendo aspettare con uno scambio di sguardi molto eloquenti. Sei nato per aspettare con me. Che cosa? L'attesa di per sé. Quella spesa in procinto di qualcosa o in pausa di qualcos'altro.Per viaggiare con me, per misurare il tempo dalla stanchezza al sonno e dal sonno al sogno.Per stropicciarmi gli occhi al risveglio, per rinfrescare la memoria.
Dove lo prendiamo poi il caffè?
Insieme dal balcone di Giulietta, a Verona. Appoggiati ai gomiti, con la tazzina in mano, giocherellando con le punte dei piedi e guardando di sotto e dicendo:
"Che c'è di strano se noi qui si beve il caffè?" E sorridere, guardarci, baciarci per esibizionismo.
Lasciar cadere una tazzina che s'infrange esattamente tra Giulietta e una ragazza che non vede l'ora di stringerla a sé, ché siamo tutti alla ricerca di simboli d'amore.L'abbraccio alla statua della morente fanciulla, come disseminare segni di sé sulla Via dell'Amore, tra Rio Maggiore e Manarola, che ben promette perché è mare e roccia, eterni e tosti.Ma degli amori sono stati scritti vangeli su vangeli, quasi tutti apocrifi e alcuni ipocriti.
Potremmo invece sorseggiare il caffè da una terrazza di Villa Borghese, ammirando rosseggiare la cupola di San Pietro che Roma resta Stato del Vaticano, in fondo. Stato profano di un confine religioso. L'Italia è rimasta a Torino.Immobile come il busto di Cavour sullo scalone di Palazzo Madama e tutt'intorno, da decenni e decenni, giorni da diluvio universale.I bersaglieri, dopo Porta Pia, son restati a godersi er ponentino.Roma non fa' la stupida 'sta sera.Sembra fatta per le storie d'amore, come tutto ciò che è bello agli occhi e con il lavoro non ha nulla a che fare.
Mi solleciti il caffè.
Sì, è opportuno. Non si parla di ciò che poi non si fa.
"Sgambetta", mi dici.
Vale per tutto, non può predisporsi così al fallimento ciò che è stato curato per decenni con la perseveranza di chi pensava che sarebbe tornata ad essere famiglia, la casa.
"Ma lo è", dici tu e me ne mostri i parametri pelosi.E hai ragione.Così ragione che quasi quasi ti offro la sigaretta, dopo il caffè e anche l'ammazza caffè.
Ma non sperare che poi ti ubbidisca, abituati ai bisticci amorosi.
Sogghigni, già è un bene che s'arrivi a tanto, piuttosto che affidarsi al disordine totale. 
"Non cucinerò per te", ti dico.
Annuisci.Sai che sto parlando con me.E sei pagato per farmi cambiare idea dalla moneta dell'autismo.


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