martedì 3 luglio 2012

Un mal di testa da Zeus

Dev'essere andata così. Sedersi su un masso e guardare allo schifo creato in un giorno di ciucca d'ambrosia.Si sa, il nettare dà alla testa. Quando si dà fuori dalla gioia, poi si beve e chissà chi era stata a scatenarla. Una ninfa ? Una pastorella? Lo spettacolo inquieto di stelle che si spengono nelle galassie?Chi può dirlo?Il nulla soave del mormorio del tempo, ma sta di fatto che poi si esagera, si crea di tutto un po' e si fa un gran bordello ed è inutile lamentarsi. Di fatto c'è un gran carnaio che scagazza qui e là per il pianeta.E tu non sai che farci, sei un Dio ma non sei il solo e sei passibile di critiche da parte degli altri dei per il gran casino che hai combinato.Allora ti piglia un mal di testa sovrumano ( per forza) e ti si spacca in due e nasce lei: bella come un giorno di buon senso integrale, Atena. L'incarnazione ( o meglio la deificazione) della sapienza, dell'intelligenza, della bellezza prodotta dalla genialità senza sforzo. Lei è bella, altera, bionda, intagliata nel marmo di uno sguardo carico di sapida promessa. Anche se quel porco di Paride diede la mela alla più vuota, per una malefica promessa, ma si sa per gli inferiori tira più un pelo che una pariglia di buoi.Lo chiamano istinto riproduttivo, perché non sono capaci di pigliare, come tutti gli dei, un po' di fango e sputarci semplicemente su.Che poi vengono bene lo stesso, anche meglio, a dire il vero, da uno sputazzo che attraverso il solito iter. Tornando a bomba, a Zeus dev'essere andata così. Da una giornata come questa che ti puoi aspettare? Che la testa scoppi, che vada in ipercreatività o si azzeri totalmente qualsiasi barlume di vita intelligente, soffocata dalla  consapevolezza della merda di cui ci si nutre a cucchiaiate , a dare al mondo spazio nel tuo cuore e soprattutto in casa.Allora, sollevare la testa a maledire il male e vedere te. Seduto davanti e conciato come in Arancia meccanica. Capelli lunghi, bombetta, un occhio pittato e l'altro no e la faccia da mascalzone.
Ti guardo.
Mi guardi.
Faccio una smorfia di riprovazione.Non mi è mai piaciuto "Arancia meccanica", diseducativa fuffa per esaltati e sfogatoio per imberbi paranoidi.
Ma tu ti avvicini e sfoderi invece un sorrisone.
" Che t'aspettavi? - dici -Non avresti che potuto spremere dalle meningi che qualcosa del genere,dal cielo oscuro della tua delusione, ma dammi il nome che vuoi e saremo come marito e moglie, come la carne e il sale, come l'onda e lo scoglio".
M'avvicino  e lo tocco con un dito, ha consistenza. Me la promette. C'è.
E' un uomo.
Che nome dargli?
La cosa m'imbarazza.
Non deve averlo nessuno e me ne vengono in mente di ascoltati, già sentiti, già letti.
Ti ho creato io, sarai Amedeo, perché amerai il tuo dio, che, modestie  a parte, sarei io.
La bombetta non c'è più e gli occhi, visibili, senza trucco,sono due. Nocciola. O meglio dire un oro rotondo, ma passano ben pochi istanti che sono verde bottiglia e poi azzurro acciaio e anche i capelli, avrei giurato che fossero biondo cenere, un attimo fa. Ora sono grigi, ma potrei scommetterci che saranno neri, tra poco.
Allora colmami. Accompagnami. Integrati in quest'io depauperato dalla presenza umana.
Viviamo ogni attimo insieme, senza lasciarci mai.
Iniziamo con il coricarci e dormire, magari.E domani insieme scriveremo il piano delle attività.E sarai con me in ogni gesto, in tutti i pensieri, in ogni alito di vento, paura e speranza. 
Tu sarai in me perché sei me, Amedeo, ma tutto sei tranne che figlio.
Non voglio soggiacere alla fine della mia individualità generando chi deve seguire, tu morrai con me.Tu già sei grande come me.
Ed è già l'alba.
Me la indichi, con il dito puntato contro il cielo bianco.
E' l'alba, dici.
La vedo, rispondo.
Tubano i piccioni sul terrazzo, di quel chiarore, nel silenzio, si sentono padroni.
Tu stringimi però,senza far male.
Nasci dall'estate.Dalla bellezza dei luoghi e delle felicità possibili, che s'infrangono con la realtà meschina dei fatti.
Racchiudi tutta la forza del Golfo dei poeti.
Che ho racchiuso in un magnete sulla porta del forno, una grattugia con il manico dipinto ( c'è scritto Cinque Terre) e un portacenere coloratissimo per fumare e sfumare con gioia visibile e tu ne ridi.Ma credi come me nella magia degli oggetti.E delle maledizioni.Mi sa che me hanno fatta una bella grossa, ma da uno spiraglio di beffarda supremazia dell'intelligenza sei nato tu, fiore della disperazione.
L'unico danno sarebbe non crederti vero.
Devi espanderti invece fino a contenere tutto.
Devi essere patria e famiglia e un grande, grandissimo amore tale da oscurare qualsiasi desiderio di questi ultimi anni e racchiuderli tutti: il vecchio e il nuovo. Il conosciuto e il letto tra le righe.Quello che consideravo mio e ciò preso in prestito da una vita messa in disordine che poi si sa, se la vita la pieghi male, poi ha l'aria stazzonata della roba vecchia.
Ma aggiustati quel naso, piatto così è da fighetto e a me i nasini non sono mai piaciuti.
E già è più lungo e più greco.
Ma per domani attrezzati: dev'essere più semita.
Il naso adunco è più tagliente.
Ci sarà il bicchiere per te, d'ora in poi.
E so che mi aiuterai.
Mi dici "è morta. è morta , ma io me ne stropiccio sopra e sotto, l'hanno persa in molti  e io non l'ho mai avuta e non mi manca".
Già, la famiglia.
Nulla al cospetto di un amore come il mio.Più coreografico dei leoni del Nabucco davanti all'Arena di Verona.O era l'Aida.
Ma che ne so, io. Si risvegli il Leon di Castiglia, so. 
Ha la faccia di Tosi.
Anche per te che sussurri: "dormi, ti torneranno negli occhi scene maestose di un tramonto sul mare di scogliera.La cui bellezza è impareggiabile".I piccioni si sono ritirati, non pavidi ma previdenti. Torna a caccia l'uomo, il più temibile dei gatti.
Mi prendi per mano e mi dici "attenta all'uomo". E andiamo.
Sarai di parola?, in fondo sei un niubbo della vita.



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